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Referendum, Meloni: «Vado alle urne ma non ritiro le schede». Il Viminale: «È non votante»

A pochi giorni dai referendum abrogativi dell'8 e 9 giugno, la premier Giorgia Meloni ha chiarito la sua posizione, annunciando che si recherà al seggio ma non ritirerà le schede. La presidente del Consiglio lo ha detto a margine delle celebrazioni per la Festa della Repubblica. Più netta la posizione del vice premier e ministro…
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(Foto Mauro Scrobogna / LaPresse)

A pochi giorni dai referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno, la premier Giorgia Meloni ha chiarito la sua posizione, annunciando che si recherà al seggio ma non ritirerà le schede.

La presidente del Consiglio lo ha detto a margine delle celebrazioni per la Festa della Repubblica.

Più netta la posizione del vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che sentito da LaPresse afferma che «non andrò al seggio» e chiarisce che «è previsto dalla Costituzione. Quando c’è un quorum, il non far scattare il quorum è un altro modo di votare».

La posizione di Meloni e le critiche delle opposizioni

Anche non ritirare la scheda è una delle opzioni a disposizione dell’elettore, ha sottolineato la presidente del Consiglio.

La sua presa di posizione è stata interpretata da Riccardo Magi, segretario di Più Europa e presidente del comitato promotore del referendum sulla cittadinanza, come un invito implicito all’astensione. Magi ha definito la dichiarazione di Meloni «furba ma falsa», sottolineando come l’elettore che non ritira la scheda non venga conteggiato tra i votanti, equiparando di fatto l’atto all’astensione.

Il leader di Più Europa ha criticato la scelta della premier, soprattutto perché annunciata durante le celebrazioni del 2 giugno, giorno in cui gli italiani scelsero la Repubblica tramite referendum.

L’annuncio di Meloni è, per la deputata del Movimento 5 stelle Chiara Appendino, «un modo subdolo di sabotare il voto, e lo dice proprio il giorno della Festa della Repubblica, che sul voto e sulla partecipazione è fondata».

Per il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia, «la presidente del Consiglio invita di fatto, in maniera irrispettosa e inaccettabile, a non andare a votare. Al di là della formula usata, veramente ambigua, con l’artificio dell’andare al seggio e non ritirare la scheda (perché?), siamo di fronte a una premier che prende in giro gli italiani e non dice ai cittadini e agli elettori quale è la sua scelta di merito sui quesiti referendari».

Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi e Sinistra afferma che «evidentemente Meloni ha tempo da perdere per prendere in giro gli italiani. Ma le persone comuni invece non hanno né tempo né occasioni né diritti da buttare. L’8 e il 9 giugno andranno al seggio e non faranno la pantomima vergognosa di non ritirare la scheda. Eserciteranno quel diritto di scegliere che gli italiani hanno conquistato 80 anni fa riprendendosi la libertà e la democrazia che il fascismo gli aveva tolto scegliendo proprio il 2 giugno per aprire una stagione nuova per l’Italia, gli italiani prenderanno quelle schede per dire chiaramente al Paese che ora basta: basta ricatti sul lavoro, basta bassi salari, basta precarietà, basta morti negli appalti, basta giovani senza diritti di cittadinanza».

Il chiarimento del Viminale

Il Ministero dell’Interno, attraverso le “Istruzioni per le operazioni degli uffici di sezione“, ha confermato che l’elettore che rifiuta di ritirare tutte le schede non è considerato votante e non deve essere conteggiato nel totale dei votanti della sezione.

Il vademecum ministeriale precisa che, in questi casi, sulla lista sezionale va aggiunta una nota come “NON VOTANTE” e non deve essere apposto il bollo sulla tessera elettorale. Viene inoltre specificato che, in caso di referendum multipli, l’elettore può decidere di ritirare solo alcune schede, astenendosi per gli altri quesiti; anche in questo caso, non sarà considerato votante per i referendum per cui non ha ritirato la scheda.

I referendum e la sfida del quorum

Le urne saranno aperte domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. I cittadini saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti abrogativi: quattro dedicati al tema del lavoro e uno relativo alla cittadinanza. La votazione avviene barrando “Sì” o “No” sulla scheda.

Per la prima volta, oltre ai cittadini italiani maggiorenni iscritti nelle liste elettorali del proprio Comune, potranno partecipare anche gli elettori fuori sede, purché domiciliati da almeno tre mesi in un Comune diverso da quello di residenza. Il Viminale ha stimato in 67.305 gli elettori “fuori sede” ammessi al voto, distribuiti tra motivi di lavoro, studio e cure mediche. Le province con il maggior numero di elettori “fuori sede” sono Milano, Torino, Roma e Bologna. Gli italiani residenti all’estero, iscritti all’AIRE, voteranno invece per corrispondenza.

Per la validità dei referendum è necessario che si raggiunga il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto. Questo obiettivo si preannuncia una sfida, considerando che i partiti di maggioranza, contrari ai quesiti, hanno manifestato l’intenzione di invitare all’astensione, ritenendola una forma legittima di dissenso. Le forze di opposizione, pur con alcune differenze interne, hanno in larga parte supportato la campagna referendaria, in particolare sui temi del lavoro e della cittadinanza.

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