Era il suono prima del suono. Un brusio di velluto e attesa, il riflesso del palco, l’eco trattenuta di generazioni che ascoltano. E poi, come una lama che taglia il tempo, il primo accordo. Così il Teatro Petruzzelli, scrigno rinato tra le pieghe della storia, si è vestito a festa, con addosso gli occhi di tutta Europa.
Oggi, l’Europakonzert dei Berliner Philharmoniker, affidato alla bacchetta monumentale di Riccardo Muti, accende a Bari la scintilla di un rito musicale che, da oltre trent’anni, unisce tradizione, bellezza e memoria collettiva. La scelta della data non è casuale: ogni 1 maggio, l’orchestra fondata nel 1882 celebra la propria nascita in luoghi simbolici del continente. E stavolta ha scelto l’Italia, la Puglia, il Mediterraneo. Ha scelto Bari.
Rossini, Verdi e Brahms
Il programma è sontuoso e parla molte lingue. Si apre con l’Ouverture da “Guglielmo Tell” di Rossini: quattro quadri sonori, dall’alba delle Alpi alla cavalcata finale, capaci di evocare libertà e tensione eroica. È musica che non invecchia, che ancora racconta popoli, resistenze, sogni. Segue il balletto sinfonico delle “Quattro Stagioni” da “I vespri siciliani” di Verdi: un florilegio orchestrale che danza tra zefiri e fauni, tra mazzi di fiori e calure mediterranee, espressione di un Verdi meno noto ma sorprendentemente raffinato.
E infine Brahms, con la sua Sinfonia n. 2, in Re maggiore. Lirica e pensosa, è una sinfonia che canta, sussurra, medita. Una pagina che non cerca il trionfo, ma lo lascia emergere come un dono, nell’ultima fanfara: sobria, alta, europea.
Al centro dell’Europa
Non solo un concerto, ma una dichiarazione di senso. La presenza dell’Europakonzert a Bari celebra un teatro che è già simbolo di rinascita dopo il rogo del 1991, e che oggi si fa testimone di una cultura che unisce piuttosto che dividere. Non è un caso che la trasmissione avvenga in diretta sulla piattaforma digitale dei Berliner e in differita su Rai 5 e Rai 3. In platea, il pubblico è stato invitato a prendere posto con rigore svizzero: entro le 10.45, nessuna deroga. Nessuna foto, nessuna interruzione. Solo ascolto. È la musica che comanda.
Il maestro Muti
A dirigere l’evento, un nome che non ha bisogno di aggettivi: Riccardo Muti, ottantatré anni, portamento da antico console, precisione da artigiano e spirito da interprete puro. La sua carriera – dalla Scala alla Philadelphia, da Salisburgo a Vienna – è un atlante dell’eccellenza, ma anche dell’impegno: con la Cherubini, con Le Vie dell’Amicizia, con i suoi giovani allievi. Verdi è il suo alter ego, Brahms un complice di lunga data. E con i Berliner, Muti condivide quella misura altissima che fa della musica un atto morale prima ancora che estetico.
Chi avrà la fortuna di essere in sala, avrà assistito a un momento che trascende il concerto stesso, un’istantanea di grandezza musicale che, seppur fugace, si radicherà nel tempo come testimonianza di un’Europa che ancora trova nella musica il suo linguaggio universale.