L’ex Ilva di Taranto rischia di fare la fine di Bagnoli nel caso in cui dovesse essere fermato l’altoforno 1, in cui l’altro giorno è divampato un incendio. Lo ha affermato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, a margine dell’inaugurazione del Tecnopolo Mediterraneo a Taranto.
«Se il sequestro dell’altoforno prevederà anche l’inibizione all’uso dovremo necessariamente aspettarci un forte numero di lavoratori in cassa integrazione e una riduzione significativa della produzione», ha premesso il ministro. «Ma se il provvedimento inibirà anche la manutenzione degli impianti che deve essere effettuata nelle prossime ore, compromettendo per sempre il ripristino dell’altoforno, potete immaginare quali possono essere le conseguenze – ha aggiunto -. È chiaro che se qui si crea un’altra Bagnoli finirà come a Bagnoli».
Urso ha chiarito che «aspettiamo ovviamente, nel rispetto dell’equilibrio dei poteri, le decisioni dei magistrati. C’è l’auspicio – ha sottolineato – che la procura non inibisca la manutenzione dell’altoforno perchè altrimenti tra poche ore, se non fosse possibile intervenire per mettere in sicurezza l’impianto non sarebbe comunque più possibile riattivarlo. Il che, come detto, significa da subito essere costretti a mandare in cassa integrazione un numero consistente di lavoratori con, probabilmente, la fine del sogno della siderurgia green a Taranto perché nessun investitore investe in una industria che ha già chiuso la sua attività produttiva».
L’investitore, ha detto ancora il ministro, «investe nella riconversione ambientale e tecnologica dello stabilimento se c’è uno stabilimento in attività».
I negoziati con Baku Steel e la nuova Aia
«Proprio in queste ore è in corso un negoziato, un negoziato difficile, complesso» con Baku Steel «che deve mettere insieme tante cose. Deve mettere insieme la funzionalità degli impianti. Se non vi è la funzionalità degli impianti il negoziato si interrompe. Nessuno mai scommetterà sulla riconversione industriale e tecnologica del più grande impianto siderurgico europeo», ha ribadito il ministro.
«Dipende anche – ha proseguito – dall’Aia che sta per essere rilasciata e che, anche per decisione del nostro governo, sarà la più avanzata in Europa perchè prevede anche giustamente l’impatto sanitario».
Urso ha ricordato l’impegno del governo con lo stanziamento delle «risorse necessarie alla messa in sicurezza degli impianti, alla manutenzione e al ripristino, il ristoro con risorse nazionale di tutte le aziende dell’indotto, l’accordo per la prima volta con le forze sindacali per la gestione della cig», fino ad arrivare «alla procedura internazionale che ha attirato l’interesse di decine di imprese per la cessione degli asset e il negoziato con un grande player internazionale».
Il ministro ha aggiunto che «la tecnologia green è alimentata dal gas perché il Dri (preridotto) che costruiremo con un cronoprogramma preciso che mi accingo ovviamente a presentare alle istituzioni competenti prevede la realizzazione di un primo impianto e poi di un successivo che va alimentato a gas, così come la produzione dello stabilimento, quando ci sarà la tecnologia green, dovrà essere anch’essa alimentata a gas. Quindi dipende dal costo del gas e su questo mi sto confrontando anche con il presidente della Regione per capire come incentivare e non penalizzare chi porterà il gas per la siderurgia green nel polo di Taranto», ha affermato. «Dipenderà – ha proseguito – dall’approvvigionamento idrico dello stabilimento, che allo stato resta un grande punto interrogativo, dalla possibilità di realizzare il raccordo tra i depuratori e lo stabilimento ai fini di utilizzare anche le acque reflue, dipenderà dalle infrastrutture civili e portuali che dovranno essere realizzate. Gli impianti a forno elettrico e Dri che via via negli anni sostituiranno gli impianti attuali secondo un preciso cronoprogramma renderanno quello di Taranto il più grande e più avanzato impianto siderurgico green d’Europa».
Il ministro ha spiegato che ci sono diverse «condizioni che deve sciogliere il governo nazionale con il governo regionale e il governo di Taranto. Quando si pensa a uno sviluppo industriale di questo tipo tutte le parti sono coinvolte e tutti devono remare nella stessa direzione in maniera positiva, trasparente, determinata, per raggiungere un obiettivo. Noi abbiamo ripreso in mano due anni fa una procedura che stava portando allo spegnimento di tutti gli impianti. Il commissariamento è giunto ad appena 4 giorni dalla chiusura dell’ultimo altoforno che avrebbe del tutto compromesso tutti gli impianti collaterali, condannando alla desertificazione quest’area industriale».
Le associazioni contro l’ex Ilva: sit-in durante l’inaugurazione del Tecnopolo
Alcune associazioni di Taranto – tra cui Genitori tarantini e Comitato cittadini e lavoratori Liberi e Pensanti -, intanto, si sono riuniti in presidio nei pressi della sede della Camera di Commercio in occasione dell’inaugurazione del Tecnopolo.
«Mentre è in corso il riesame dell’Aia dell’ex Ilva, il diritto alla salute è sistematicamente violato in questa città, come testimonia il grave incendio dell’altroieri all’altoforno 1. Taranto non accetta compromessi. E non accetta passerelle», hanno affermato i portavoce delle associazioni.
Taranto, hanno aggiunto, «non può più essere zona di sacrificio: non siamo disposti ad accettare decisioni imposte. Oggi, in pompa magna, alcuni rappresentanti di governo sono a Taranto, in veste istituzionale, per una inaugurazione: un’offesa ulteriore al nostro territorio, a noi, ai nostri figli e nipoti, alle future generazioni».
Ci sono stati anche momenti di tensione tra un imprenditore dell’appalto dello stabilimento siderurgico e alcuni attivisti, che hanno srotolato due striscioni: “Ilva chiusa e avast” e “Ilva is a killer“.
Il ministro Urso «deve ascoltare – ha detto Simona Fersini del Comitato Liberi e Pensanti – dalla viva voce dei cittadini che questa fabbrica non la vogliono aperta. Non dobbiamo aspettare la tragedia per decidere una volta per tutte di chiudere. È una fabbrica che uccide giorno dopo giorno noi, le nostre vite e anche l’economia di questo territorio».