I rappresentanti sindacali di Cgil, Cisl, Uil, Fials, territorialmente competenti per le diverse aziende sanitarie pugliesi, chiedono con forza l’applicazione dell’articolo 29 del contratto collettivo di lavoro del comparto sanità, con il quale vengono declinate le modalità attraverso cui erogare il servizio mensa o, in alternativa, i “buoni pasto sostitutivi”.
Il tema è stato al centro delle audizioni nella seduta congiunta delle Commisioni I e III che si è tenuta ieri in via Gentile, con la presidenza affidata a Saverio Tammacco, su richiesta sia delle rappresentanze sindacali territoriali sia di alcuni consiglieri regionali tra cui Grazia Di Bari e Mauro Galante (M5S), Tonia Spina, Renato Perrini e Aldo Basile (Fratelli d’Italia).
Le audizioni
Come emerso durante la seduta, il diritto a usufruire della mensa, o all’erogazione dei buoni pasto sostitutivi, ai dipendenti del servizio sanitario regionale non è riconosciuto o è riconosciuto in modo differente in base alle aziende di appartenenza e anche all’interno delle stesse. «Nella scorsa legislatura – ha sottolineato la consigliera pentastellata Grazia Di Bari – è stata approvata in Consiglio una mozione che impegnava la Giunta a vigilare perché in tutte le Asl fossero applicate in maniera uniforme le previsioni inerenti l’attivazione dei servizi mensa e le modalità di erogazione dei buoni pasto sostitutivi. Tale mozione è rimasta lettera morta, dato che solo la Asl Bari ha attivato il servizio, mentre nelle altre il diritto non è riconosciuto».
In merito al diritto di godere del servizio mensa e dei buoni pasto, le sigle sindacali, unite, hanno richiamato una consolidata giurisprudenza che ha visto le aziende sanitarie soccombere rispetto alle azioni giudiziarie intraprese dai dipendenti, con i conseguenti costi legali e di riconoscimento degli arretrati, come avvenuto per la Asl Bari. La situazione più critica, si rileva nella Asl di Brindisi e della Bat, dove non sono quasi per nulla presenti nemmeno le mense.
La difesa delle Asl
La risposta univoca da parte dei dirigenti delle Asl intervenuti attiene alla limitazione imposta dai tetti di spesa: da una parte c’è il contratto, dall’altra una norma che fa riferimento alla compatibilità con le risorse disponibili. Quindi, è la conclusione, anche se l’azienda ha chiuso il bilancio in pareggio essa non è in grado di accollarsi una ulteriore e ingente spesa per il riconoscimento del servizio o dei buoni pasto.
«È evidente che la disparità di applicazione dell’istituto – ha sintetizzato Mauro Nicastro, dirigente della sezione Strategie e governo dell’offerta del Dipartimento Salute – dipende dalle condizioni dettate dai contratti e dalle altre norme. La legge regionale 1 del 2008 prevede che il riconoscimento del diritto sia sottoposto a due condizioni essenziali: l’orario di lavoro superiore alle sei ore e la compatibilità con le risorse economiche e l’equilibrio di bilancio».
Tuttavia, seppure in un quadro di riferimento non facile, ha spiegato Nicastro, il Dipartimento sta lavorando: a marzo sono state chieste alle Asl informazione sui regolamenti aziendali e sul personale che usufruisce del servizio. Con questa ricognizione si sta procedendo per trovare soluzioni che assicurino uniformità dell’erogazione del servizio e coerenza con il sistema normativo per poi sottoporle all’esame della Giunta.