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Oltre il femminicidio, quando il carnefice non comprende il proprio disagio

Archiviata la giornata contro la violenza di genere proviamo a tenere vivo il dibattito, senza aspettare la prossima celebrazione. Per l’occasione alcune attiviste hanno sfilato denudate dietro lo striscione che recitava “il corpo è mio e decido io”, slogan Sessantottino utilizzato per denunciare il regime iraniano ed emulare Ahoo Daryaei, la studentessa iraniana denudatasi per protesta nell’Università di Teheran. Ma ciò che ha fatto maggiormente discutere è stato il gesto con cui è stata bruciata dal collettivo Aracne una foto del Ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, che aveva definito il patriarcato un modello familiare estinto.

In realtà il modello patriarcale, studiato nella scuola superiore nel primo anno del biennio, è considerato tipico della società preindustriale, dove il nonno assumeva la figura del patriarca, al comando assoluto dell’intera famiglia, in grado d’impartire regole a tutti, e non solo alle donne ma anche ai propri figli e ai generi con i quali conviveva in una tipologia arcaica di famiglia multigenerazionale. Ma oggi, in un’Europa con un tasso di nascite prossimo a zero, anche quest’ultimo modello sembra essere superato a favore di altri multidimensionali: famiglia monogenitoriale, con un genitore e un figlio, famiglia di fatto, famiglia micronucleare composta per lo più da single, famiglia ricostruita e famiglia estesa. La polemica con il Ministro e il gesto, violento, della distruzione della sua fotografia, nel giorno contro la violenza di genere ha fatto più rumore della stessa manifestazione, annullando il suo principale obiettivo.

Le manifestazioni nelle città italiane di Roma, Milano, Palermo, Udine, sono state promosse dal movimento “Non una di meno” per denunciare ancora una volta l’insopportabile aumento del femminicidio in Italia. Un fenomeno che, nonostante i diversi appelli alla sensibilizzazione e le numerose espressioni di protesta, stenta a placarsi. Dal 2015 ad oggi i casi di femminicidio hanno registrato un netto incremento, quasi a testimoniare il fatto che l’efferatezza di questi terribili delitti, per lo più consumati all’interno di relazioni tossiche, non accenna a placarsi e non beneficia dei numerosi appelli e delle tante manifestazioni che spesso non sono seguiti da una riflessione più profonda e attenta.

Nel 2015 si sono registrati 71 femminicidi, passati a 72 nel 2016, a 68 nel 2017, per poi avere un’impennata nel 2018 con ben 142 casi, scesi a 111 nel 2019, 116 nel 2020, 119 nel 2021, 125 nel 2022 e 105 nel 2023 quasi come l’anno che si sta concludendo che di femminicidi ne ha visti, finora, 106. Dal 2013 allo scorso anno, nonostante l’aumento del 156% delle risorse economiche stanziate per prevenire e attuare misure contro la violenza di genere, gli episodi di femminicidio non si sono affatto placati. In quasi la metà dei casi la donna aveva precedentemente denunciato l’omicida. Dall’ultimo rapporto Eures, aggiornato al 2017, i casi di femminicidio sono in aumento al nord e in netto calo al sud. Le regioni più colpite sono state Lombardia, Veneto, Campania, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Lazio e Liguria. Ciò non significa che nel sud non vi siano stati efferati delitti come quelli della cronaca degli ultimi giorni. Alla manifestazione, organizzata a Roma quest’anno, hanno partecipato 250mila persone unite dal motto “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”, ma dati alla mano pare che la strada per sconfiggere questo cancro non sia solo quella delle ricorrenze e delle manifestazioni, ma un ascolto più umano delle vittime e soprattutto dei carnefici, spesso incapaci di comprendere il proprio disagio.

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