Ancora un incidente, senza feriti per fortuna, nell’ex Ilva di Taranto, dopo l’esplosione e l’incendio della settimana scorsa che ha portato al sequestro senza facoltà d’uso di uno dei due altoforni in marcia e all’aumento di mille operai in cassa integrazione (ora sono a circa 4mila). Si è verificata una perdita di gas (monossido di carbonio) in acciaieria 2.
L’area è stata evacuata e rimessa in sicurezza in pochi minuti. I sindacati metalmeccanici di Cgil e Uil hanno chiesto all’azienda chiarezza sulla perdita gas, dal momento che il macchinario da cui si è verificata «aveva manifestato più volte malfunzionamenti». Considerata «la natura potenzialmente critica dell’evento per la salute e la sicurezza dei lavoratori – scrivono i sindacati – si chiede di ricevere un riscontro tempestivo, in mancanza ci rivolgeremo agli enti competenti».
I piani del Governo
Per il ministro delle Imprese Adolfo Urso, la strada è in salita ma l’Ilva ha ancora un futuro. «Il momento è cruciale – dice – evitiamo polemiche e cerchiamo soluzioni. Dobbiamo prendere atto che se manca un altoforno nella fase di transizione verso i forni elettrici la produzione non potrà più essere di 6 milioni di tonnellate (all’anno n.d.r.) ma massimo di 4 milioni. Gli azeri di Baku Steel, nonostante gli incidenti di questi giorni ed il sequestro dell’altoforno 1 sono ancora interessati a concludere la trattativa e al gruppo sono in arrivo 100 milioni di euro in prestito dal governo. Un decreto legge formalizzerà la quota di partecipazione dello Stato, attraverso Invitalia, nel nuovo soggetto chiamato a gestire gli impianti sotto sequestro dal 2012».
La trattativa
E proprio per capire a che punto è il negoziato con gli azeri, «alla luce dei recenti fatti gravi avvenuti», i segretari generali di Fim, Fiom, Uilm, Ferdinando Uliano, Michele De Palma, Rocco Palombella, hanno inviato una richiesta al governo di «convocazione urgente di incontro del tavolo permanente per proseguire l’aggiornamento della situazione del gruppo Acciaierie d’Italia in As – ex Ilva».
La richiesta è indirizzata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano, ai ministri Urso, Calderone, Giorgetti e Foti. I lavoratori, secondo quanto riportato dall’Ansa, sono preoccupati: «Siamo stanchi di essere usati come bancomat – dice Piero, operaio del reparto Grf – In questi ultimi anni hanno pensato a fare assunzioni di dirigenti e direttori a go go mentre si continuava a prorogare la cassa integrazione. Oggi diciamo basta. Chiediamo al governo di prendere realmente in mano le redini del azienda. In un paese normale il ministro Urso, dopo le dichiarazioni sui ritardi nelle autorizzazioni alla messa in sicurezza dell’Afo1 e la risposta della magistratura, si dovrebbe dimettere».
Francesco, operaio della colata continua dell’acciaieria 2, evidenzia: «Abbiamo paura dopo che Urso ha detto che Taranto potrebbe essere una futura Bagnoli».
La stroncatura
Una delle voci più critiche nei confronti del governo e in particolare del ministro Urso è quella del vice presidente del M5s, il senatore tarantino Mario Turco. Parlando della fuga di gas e dell’incendio dei giorni scorsi, sostiene che «il sito industriale non garantisce la sicurezza di chi lavora e dei tarantini, nonostante gli oltre 1,5 miliardi di euro sprecati in un impianto vetusto. Serve con urgenza un piano per la sicurezza, prima che succeda l’irreparabile. Questo scenario è solo un tassello del fallimento del governo Meloni su questo dossier. Si fermi il processo di rilascio dell’Aia, che prevede la sola produzione a carbone e si programmi la chiusura di tutte le fonti inquinanti. Riconversione industriale con due forni elettrici a idrogeno verde. Stop alle trattative con Baku e nazionalizzazione», la ricetta di Turco.