Dario Stefano è in Parlamento dal 2013, dopo essere stato assessore regionale all’Agricoltura nella giunta Vendola. Sta vivendo da esponente di spicco del Pd questa vigilia delle elezioni del successore di Mattarella. E, ironia della sorte e della politica, potrebbe ritrovarsi a dover esprimere un voto sulla candidatura di Silvio Berlusconi, dopo aver presieduto la giunta delle autorizzazioni a procedere che doveva decidere sul suo conto.
Che atmosfera respira rispetto alle precedenti elezioni?
«Siamo in una fase avanzata della legislatura, alle prese con una pandemia che non demorde ed un sistema economico messo a dura prova: è chiaro che l’incertezza del quadro politico prevalga su tutto. Ho difficoltà a ricordare un tale livello di frammentazione dei gruppi, sicuramente sette anni fa quando si scelse Mattarella non era così. L’attuale situazione contiene però anche un particolare avvertimento ai leader: Questa volta è fondamentale procedere ricercando, in tutti i modi, unità e condivisione prima che tra i diversi Gruppi nei singoli Gruppi.
Prevede una elezione con tempi lunghi?
«Più che prevedere, io spero profondamente che l’elezione avvenga in tempi brevi. La situazione del Paese non ci consente di girare a vuoto: è un lusso che non possiamo permetterci. Ma certo la cosa più importante è fare bene. È d’obbligo trovare a stretto giro una sintesi, alla luce della pandemia ancora in corso e degli impegni serrati a cui ci chiama l’attuazione del Pnrr e la esplosione dei costi legati alla energia».
Pensa che i nomi finora usciti siano quelli effettivamente in corsa?
«Credo che le girandole di nomi facciano parte del teatrino mediatico che accompagna sempre il periodo che precede le votazioni per il Colle. La storia è piena di lenzuolate di autorevoli aspiranti Presidenti della Repubblica e le imminenti elezioni non segnano una eccezione. Alla fine però conteranno i nomi che usciranno nelle ore più prossime all’appuntamento, quelli che affronteranno il voto dell’Assemblea».
Chi vorrebbe presidente?
«Un italiano o una italiana autorevole, europeista convinto, saldo nei principi della tradizione repubblicana e che possieda assoluta padronanza del sistema parlamentare, delle sue regole, che in una Repubblica parlamentare sono fondamentali per la tenuta del sistema. L’autorevolezza che tutti oggi riconoscono a Mattarella, a mio avviso, è data anche dalla sua più volte dimostrata capacità di rispettare le prerogative e la dimensione parlamentare.
Ritiene che il Pd e Letta si stiano muovendo bene?
«Ho chiesto a Letta un maggiore protagonismo, proprio perché conosco e apprezzo la sua sensibilità e le sue capacità. Gli ho chiesto di indossare la maglia numero 10, perché non possiamo in alcun modo essere né attendisti né spettatori di ciò che si determina autonomamente nel centrodestra nella partita del Quirinale. L’incontro con Speranza e Conte può anche andare bene per iniziare una partita complessa, ma il segretario del Pd sa bene che per giocarla al meglio serve parlare con tutti ed allargare i propri confini».
Cosa pensa di una eventuale candidatura di Berlusconi?
«La presidenza della Repubblica non è un premio alla carriera e, storicamente, non c’è mai stato un leader di partito che sia salito sul Colle più alto di Roma. Il Capo dello Stato non può essere espressione di una sola parte ed è oggettivo che Berlusconi rimanga tuttora molto divisivo. Aggiungo: non si può immaginare di traguardare il quorum della maggioranza con il “metodo Ciampolillo”».
Salvini è il king-maker di questa elezione?
«Il leader della Lega ha davanti una sfida impegnativa, non sono certo io a sottovalutarla. Le svelo un segreto: il vero king-maker sarà il primo leader che avrà il coraggio di proporre una personalità autorevole e sopra le parti che sia votabile almeno da tutta l’attuale maggioranza di governo».
Draghi sì o no?
«Fino ad oggi si è riconosciuto unanimemente l’utilità del suo lavoro fatto a Palazzo Chigi. È ben chiaro che si tratta di un lavoro appena iniziato e che proprio nei prossimi mesi sarà ancora più impegnativo e importante. In ragione di ciò, indicare Draghi come la soluzione per il Quirinale, aprirebbe ad un problema a mio avviso maggiore, considerata la delicatezza dell’esecutivo e la complessità della maggioranza. In ogni caso, voglio partire da una cosa che credo sia più importante persino del nome di chi salirà al Quirinale: serve un patto di legislatura, che ci porti al 2023 per fare bene tre cose, attuazione del Pnrr, lotta alla pandemia e legge elettorale».
Quali sono le ultime novità di oggi nel centrosinistra?
«Torniamo nel campo delle speranze e degli auspici, come prima. Io spero che anche nel centrosinistra cresca il consenso per una parola magica: insieme, ovvero è insieme che centrodestra e centro sinistra devono trovare la soluzione per il Colle. Nessuno pensi di avere maggiori prerogative o diritti di indicazione o primazia rispetto agli altri».