Alla riunione di tre giorni fa al Mimit dove Pasquale Natuzzi ha presentato il piano di rilancio dell’azienda 2026-2028, ha partecipato il presidente del Sepac (Comitato regionale per il monitoraggio del sistema economico produttivo e delle aree di crisi) Leo Caroli che da anni segue le vicende del gruppo leader mondiale del settore del salotto e dell’arredamento di alta gamma. Un’azienda che da 24 usufruisce di ammortizzatori sociali e che ha ricevuto decine di milioni di euro da Governo e Regioni.
Presidente dopo la massiccia iniezione di capitali pubblici dello scorso anno, 14 milioni di euro dallo Stato, 10 dalla Regione Puglia, per un investimento complessivo di 30 milioni, si pensava che la situazione della Natuzzi si potesse finalmente risolvere nel migliore dei modi, evitando gli iniziali mille esuberi prospettati dall’azienda. E invece la dichiarazione di Pasquale Natuzzi al Ministero delle Imprese e del made in Italy, ha fatto tremare un po’ tutti. Se lo aspettava?
«Chiariamo subito che se Natuzzi ha potuto chiudere la originaria procedura di licenziamento collettivo, che parlava di circa 1000 esuberi e se oggi Natuzzi può annunciare non esuberi ma la sovraccapacità produttiva di 481 unità, questo è un risultato straordinariamente importante. Se Natuzzi ha potuto fare tutto questo è grazie alla straordinaria gestione del Tavolo di crisi e di un processo di condivisione delle politiche di gestione della crisi e del piano di progetto industriale di rilancio della Natuzzi. Un lavoro straordinariamente unitario, coeso, fatto di confronto e di condivisione tra organizzazioni sindacali, l’azienda, il Governo e la Regione».
Caroli sta dicendo che la notizia lanciata da sindacalisti e dai giornali è inesatta?
«I giornali si sono basati su alcune dichiarazioni. Ognuno fa il suo mestiere. La realtà è che gli esuberi, cioè gente da licenziare, erano 1000. Oggi la sovraccapacità produttiva è di 481 unità».
Che cosa è successo nel frattempo?
«Sovraccapacità produttiva vuol dire che in base alle commesse che tiene in pancia l’azienda ci sono 481 persone che non hanno attività da svolgere».
Allora diciamo che potrebbero diventare esuberi, ma che al momento non lo sono.
«L’esubero si ha quando l’azienda apre la procedura di licenziamento collettivo. Cioè ti invia una lettera. L’ultima lettera che ha fatto Natuzzi era per 1000 licenziamenti. Certo, mi ricordo, sì, sì. Oggi non è stata aperta una procedura. In questo senso 481 è un risultato straordinario. Lo si è raggiunto gestendo insieme le politiche di incentivazione all’esodo, le politiche per il prepensionamento. Gli ammortizzatori sociali poi hanno evitato il licenziamento, sia il contratto di solidarietà che la cassa integrazione. Alla fine 750 persone hanno ruotato tra cassa e contratto di solidarietà in attesa delle fuoriuscite».
Però presidente, questi 481 comunque rischiano se non arrivano le commesse.
«Il piano di rilancio aziendale prevedeva una scommessa ed una richiesta di fiducia della Natuzzi, che ha avuto successo e cioè fiducia da parte del Governo, fiducia delle Regioni e fiducia dei sindacati. Natuzzi avrebbe dovuto riportare in Italia le attività delocalizzate in Cina e in Romania. Ebbene dalla Cina il reshoring è avvenuto dalla Romania invece no. E ieri (lunedì, ndr) Natuzzi ha detto che il reshoring non lo vuole fare più. E a quel punto allora i 481 diventerebbero davvero esuberi. E con questa ipotesi di retrocessione al secolo scorso dell’attività di Natuzzi, si vanifica l’impegno del Governo che ci ha messo 14 milioni, della Puglia e dei sindacati che hanno fatto fare sacrifici ai lavoratori».
Quindi in pratica se non l’azienda non riporta in Italia la produzione dalla Romania i 481 rimarrebbero a braccia conserte e allora diverrebbero esuberi.
«Esattamente. In realtà Natuzzi fa di più oltre a bloccare il reshoring, per implementare le economie aziendali riduce i costi di gestione degli stabilimenti e chiude due stabilimenti Puglia (Graviscella e Jesce 2, ndr) e così non ci sono più spese di gestione. Anche se poi i dipendenti saranno stretti come in un pollaio, negli altri capannoni. Ma la Regione Puglia ha dato 10 milioni a Natuzzi per chiudere gli stabilimenti pugliesi? Noi abbiamo dato i soldi pubblici per valorizzare gli stabilimenti e non per chiuderli. Questo a prescindere se poi ci sarà o meno anche un licenziamento».
I sindacati comunque in sede ministeriale hanno detto no a questa prospettiva illustrata da Natuzzi.
«Sono molto preoccupato e ho proposto, per evitare di rompere definitivamente il tavolo, proposta accettata da tutti, un tavolo interregionale per provare a trovare una sintesi che non può prescindere dal ritorno della produzione dalla Romania. Non solo ma ciò che si produce in Romania quella stessa cosa se fatta in Italia con gli impianti che abbiamo finanziato così moderni ed efficienti, darebbe un prodotto di un valore qualitativo superiore».
I prossimi appuntamenti quali sono?
«La convocazione per il 9 gennaio a Bari è appena partita. Faremo tutti gli sforzi per giungere il 25 febbraio pronti al tavolo nazionale. Pronti con un accordo con un accordo».
Può anticipare qualcosa?
«Primo completare il progetto del reshoring, quindi non chiudere gli stabilimenti pugliesi, quindi ridotare Natuzzi di un piano di gestione della sovraccapacità produttiva con politiche quali il prepensionamento e pare ce ne siano almeno 300 di quei 481 pronti ad accettare un ulteriore incentivo al esodo e un prepensionamento. Natuzzi non può scegliere la strategia del braccio di ferro, del muro contro muro verso i sindacati che si sono già detti contrari a queste cose. Deve rinunciare alla strada della forzatura, perché altrimenti ritorneremmo a 5 anni fa quando le relazioni industriali Natuzzi non le teneva né in fabbrica, né in Confindustria e neanche in Regione Puglia, ma nelle aule dei tribunali con i relativi alti costi».










