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Montanaro si “confessa”: «Per non cadere nel buio mi sono dopato con il lavoro»

«Finalmente». Racchiuso in un avverbio il sollievo di Vito Montanaro, direttore del Dipartimento della Salute della Regione Puglia. Assolto a tre giorni dal Natale, per non aver commesso il fatto, si “confessa” a cuore aperto togliendo, per un brevissimo arco temporale, la corazza d'impermeabilità con cui si è difeso da quel luglio 2018 in cui…

«Finalmente». Racchiuso in un avverbio il sollievo di Vito Montanaro, direttore del Dipartimento della Salute della Regione Puglia. Assolto a tre giorni dal Natale, per non aver commesso il fatto, si “confessa” a cuore aperto togliendo, per un brevissimo arco temporale, la corazza d’impermeabilità con cui si è difeso da quel luglio 2018 in cui la slavina giudiziaria gli piombò addosso.

Direttore Montanaro, qual è la prima cosa che ha pensato quando le è stata comunicata l’assoluzione?
«Che anche la giustizia ha chiarito a mia moglie e ai miei figli che sono innocente».
In questi anni al netto della preoccupazione per il suo destino, per chi era più in ansia?
«Per la famiglia, mia moglie e i miei figli che legittimamente potrebbero aver dubitato del mio comportamento».
Hanno avuto dubbi?
«No, ma era la mia preoccupazione. Per me era importante che non solo il loro amore, ma anche l’esito del processo mi consentisse di dimostrare loro la mia innocenza. E poi l’altra persona a cui tenevo che fosse dimostrata la mia innocenza è il presidente Emiliano che mi ha scelto ancora prima che la giustizia stabilisse che ero innocente. Sono contento che anche lui sia stato premiato per la sua scelta».
Come sono stati questi tre anni e mezzo?
«Ho cercato di lavorare così tanto, ma così tanto, da dimostrare a tutti che sono importante per il sistema sanitario: non per me stesso, ma per quello che posso dare all’assessorato. Devo dire che anche i colleghi sono stati molto vicini e hanno saputo interpretare gli schemi di gioco – la professionalità di queste donne e di questi uomini non la discute nessuno – e fino ad oggi, nonostante il Covid in pochissimi abbiamo fatto tante cose belle e importanti».
Quando ha saputo di essere sotto indagine cosa ha provato: ha avuto paura o preoccupazione?
«Non sapevo assolutamente nulla di questa indagine, l’ho scoperta il 6 luglio del 2018 e da quel momento ho cercato di capire se avessi potuto commettere, anche solo inconsapevolmente, un errore. Il resto è storia».
Da quando è stato travolto da “un insolito destino” ha mai avuto momenti di sconforto o di estrema solitudine o di paura del domani?
«Mai».
Com’è possibile o vuole tenere per sé i momenti più bui del suo vissuto?
«No, non ho mai avuto momenti di sconforto perché mi sono “dopato” con il lavoro. È stato durissimo perché dovevo sopportare un fardello che non potevo far pesare a nessuno: era una cosa mia, intima. Non potevo fare pesare nulla ai colleghi o in famiglia. Era un fardello che dovevo portare io».
Cosa c’è dietro questa forza?
«Non so come ho fatto, ma ho scoperto di avere un carattere tosto. Sapevo di essere una persona con una capacità non comune di lavorare sotto stress, ma non pensavo di essere così forte: ce l’ho fatta».
Eppure ha dell’incredibile che non abbia mai avuto un cedimento emotivo.
«Ho sempre avuto fiducia nella giustizia e nel mio avvocato, Beppe Modesti, che ha lavorato molto per dimostrare la mia innocenza nella quale, per fortuna, ha sempre, sin dal primo momento, creduto. Non sempre si riesce a dimostrare la propria innocenza. Il mio caso, tuttavia, dimostra che il sistema giustizia funziona».
In questi anni non ha mai pensato che il ruolo di responsabilità presenta troppi rischi e non ne valga la pena?
«No. Ho sempre detto ai miei figli che qualcuno deve occuparsi di questi temi. Questa volta è toccato a me affrontare il Covid e le emergenze della sanità, c’è uno spirito di servizio verso la pubblica amministrazione e i cittadini che è più forte di qualsiasi altra paura. È questo che mi muove e che anche la famiglia ha capito perché è un impegno che mi fa togliere tempo a loro».
E la famiglia non le ha mai detto di lasciar perdere perché non ne vale la pena?
«Beh, sì. È il primo sentimento che ti coglie, ma poi bisogna dimostrare, anche attraverso gli atti, che qualcuno se ne deve occupare – nonostante gli incidenti di percorso -, per fortuna la giustizia ha chiarito. Abbiamo fatto bene a perseverare. Certo chi fa corre il rischio di sbagliare, l’importante è che siano errori risolvibile e non patologici».
Non ha esitato neppure quando il presidente Emiliano le ha detto che stava pensando a lei come capo del Dipartimento della Salute?
«No perché svolgere quel ruolo era uno dei miei obiettivi target, quando un manager si pone questo deve capire quando è il momento giusto per concorrere. E per me lo era, il contesto me lo consentiva, non avevo incarichi similari: ero direttore finanziario del Policlinico, la legge mi permetteva di partecipare alla procedura e l’ho fatto. Il presidente Emiliano mi ha selezionato: per me quello è stato veramente un momento di grandissima soddisfazione perché mi sceglieva il presidente della Regione che è uno del mestiere. Una scelta che credo sia stata fatta perché il presidente riteneva fossi la persona giusta per questo ruolo».
“La notte prima degli esami”, ossia della sentenza, cosa ha fatto?
«È stata l’unica notte in cui ho dormito pochissimo e ho guardato dei film».
Poi è arrivata la buona notizia. Dove si trovava e qual è la prima cosa che ha pensato?
«Ero a San Giovanni Rotondo, a Casa Sollievo della Sofferenza, con il presidente Emiliano. Per cui quando è arrivata la notizia prima ho chiamato mia moglie e i figli, poi l’ho comunicato al presidente, con il quale abbiamo pregato sulla tomba di Padre Pio. Quando mi è stato detto che ero stato assolto ho pensato, finalmente. Una bella sensazione».
Da manager avvezzo a fare previsioni, che percentuale di successo aveva calcolato?
«Difficile fare una previsione di questo tipo. Parafrasando il mio avvocato, in ogni processo per bene che ti vada sei cinquanta e cinquanta. Non si può stabilire una percentuale sulla probabilità di assoluzione. Cerchi di ripercorrere quello che hai fatto, cerchi di capire se hai sbagliato, cerchi di dare una giustificazione a coloro che hanno fatto le indagini».
Si è messo nei panni degli inquirenti?
«Cerco sempre di capire le ragioni di chi mi sta di fronte e non serbo rancore nei confronti di nessuno. Mi auguro solo che almeno ora, dopo la articolata e completa istruttoria processuale che il Tribunale di Matera ha svolto, anche loro abbiano compreso che non ho commesso alcun reato».
Sua moglie cosa le ha detto quando ha saputo dell’assoluzione?
«Credo abbia pensato anche lei finalmente e poi mi ha chiesto se poteva dirlo ai nostri amici più cari. Sono stati momenti di rinascita, un po’ per tutti perché alla fine ti senti chiuso in un batuffolo, un po’ ovattato da questa condizione. Ora mi sento più libero di lavorare di più per dare maggiori soddisfazioni a chi ha creduto in me, primo tra tutti il presidente Emiliano».

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