Il divario salariale tra Nord e Sud continua a rappresentare una delle fratture strutturali più profonde del Paese. A confermarlo è un recente studio della Cgil, che evidenzia come nel Mezzogiorno le retribuzioni siano mediamente inferiori di circa il 20 per cento rispetto a quelle del Centro-Nord. Un dato noto da tempo, ma che assume contorni ancora più critici se messo in relazione con la qualità dell’occupazione creata negli ultimi anni, anche in regioni come la Puglia, spesso indicata come esempio di crescita dei livelli occupazionali.
Secondo Adriano Giannola, presidente della Svimez, il nodo centrale non è tanto l’aumento del numero degli occupati, quanto la natura del lavoro che si sta diffondendo nel Mezzogiorno: una quota rilevante dei nuovi assunti passa attraverso agenzie interinali, che impiegano i lavoratori a chiamata, producendo occupazione povera, precaria e caratterizzata da un bassissimo valore aggiunto. Un fenomeno che risulta particolarmente evidente nei settori considerati trainanti per l’economia meridionale, a partire dal turismo.
Il settore
In Puglia, dove negli ultimi anni le presenze turistiche hanno registrato numeri record, questa crescita non si è tradotta in occupazione stabile e di qualità. Il ricorso diffuso al lavoro stagionale, ai contratti intermittenti e all’intermediazione finisce, secondo l’analisi della Svimez, per comprimere i salari e rendere fragile l’intero mercato del lavoro regionale. I dati dell’ultimo Rapporto Svimez, che segnalano un aumento dell’occupazione nel Mezzogiorno, non risultano quindi in contraddizione con l’allargarsi del divario salariale. In questo contesto, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) avrebbe potuto rappresentare una svolta storica, soprattutto per regioni come la Puglia, collocate al centro del Mediterraneo e naturalmente vocate allo sviluppo della logistica, dei porti e delle energie rinnovabili. Tuttavia, secondo il presidente della Svimez, le aspettative sarebbero state in larga parte disattese.
Le carenze
Il Pnrr viene descritto come un intervento di semplice manutenzione, incapace di affrontare i nodi strutturali che frenano lo sviluppo del Mezzogiorno. Porti, vie del mare e transizione energetica restano così i grandi assenti di una strategia industriale che avrebbe potuto fare del Sud, e della Puglia in particolare, una piattaforma strategica di accesso dell’Europa sul Mediterraneo. Anche le Zone economiche speciali, pensate per attrarre investimenti e rafforzare il tessuto produttivo, non hanno prodotto i risultati attesi. Le prospettive per il prossimo futuro, stando alle previsioni della Svimez, non appaiono incoraggianti.
La fase in cui il Mezzogiorno cresceva più del Nord è destinata a esaurirsi, mentre il rallentamento dell’economia nazionale rischia di colpire in modo più intenso le aree già strutturalmente fragili. In assenza di un cambio di rotta, il divario salariale potrebbe, dunque, essere destinato ad ampliarsi ulteriormente, anche alla luce di scelte come l’autonomia differenziata, che potrebbe accentuare i divari territoriali invece di ridurli. Un allarme che riguarda da vicino anche la Puglia, chiamata a interrogarsi sul modello di sviluppo da costruire per il proprio futuro.










