Sfatiamo subito un mito: l’ape regina non comanda affatto nell’alveare, sono le api operaie, tutte femmine e insieme, a decidere ogni cosa. E non è tutto: a raccontare questa e tante altre curiosità sul mondo delle api, tanto affascinanti quanto indispensabili alla sopravvivenza della Terra, è Maria Donnaloia, di Ostuni. A soli 31 anni, sposata, con un figlio nato da poco, è a capo di un’azienda che dal 2013 produce, con successo, miele biologico: Alveare Bianco (www.apicolturaalvearebianco.it), con sede nel Parco Naturale Regionale delle Dune Costiere di Torre Canne.
Nel 2009, prima della laurea in Agraria, un amico le regalò il primo sciame di api.
Maria Donnaloia, un colpo di fulmine?
«Assolutamente sì. Allora non sapevo molto sulle api, ad eccezione di un corso base di apicoltura. Da quel momento la mia vita è cambiata e ruota tutta attorno a loro. Non riesco a immaginare di vivere senza api».
Né lontano dalla Puglia?
«Ne sono innamorata. Stare nel Parco delle Dune Costiere è un privilegio, ci sono delle aree naturali che sono dei veri scrigni di biodiversità in cui portare le api, che ne sono sentinelle e garanti, e noi apicoltori e apicoltrici con loro».
Maria ha coinvolto nella sua passione tutta la famiglia, mamma, fratello e papà «che ha costruito le mie prime due arnie (casette per allevare le api). Ora ne abbiamo 250, che spostiamo spesso in primavera-estate, per l’impollinazione e la conseguente produzione di mieli diversi: dai ciliegi nella zona di Bari, agli agrumi della costa ionica, al coriandolo del Sub Appennino Dauno, ai castagni del Vulture in Basilicata, fino al timo di Ostuni. Nel Parco produciamo il millefiori (spesso snobbato ma il migliore dal punto di vista delle proprietà benefiche)».
Non soffrono le api con questi continui spostamenti?
«No, affatto. Una volta che sono posizionate, capiscono che hanno cambiato habitat e prendono le coordinate GPS per tornare nell’arnia dopo le impollinazioni. Sono straordinarie».
Organizzate oltre che intelligenti.
«Si pensa che la loro sia una monarchia ma è l’opposto. Le api hanno una società matriarcale, femminista, dove tutto è giusto, democratico e funziona alla perfezione: le operaie sono il cuore di tutto, guidano le scelte della regina, decidono quando è ora di farne nascere un’altra, se e quando far nascere i fuchi (i maschi), affinché lei possa accoppiarsi; con sistemi ingegnosi, d’estate e d’inverno mantengono all’interno delle arnie la temperatura di 35/37 gradi, ideale per deporre le uova, per la schiusa e per far crescere le neonate».
Possibile che da loro dipenda la nostra sopravvivenza?
«Il pianeta dipende dalle api in generale (quelle da miele sono una di migliaia di specie), non solo per la tutela della biodiversità e delle specie spontanee: alla loro sopravvivenza è subordinata quella di un alimento su tre di quelli che usiamo abitualmente; ortaggi, verdure e frutta naturalmente, ma anche cibi di origine animale, come latte e carne; senza api mancherebbero le essenze botaniche dei foraggi di cui si nutre il bestiame, come i trifogli e l’erba medica».
Per questo ultimamente van di moda le adozioni di alveari. In quale altro modo possiamo proteggerle?
«Facendo scelte più responsabili e consapevoli al supermercato, per scoraggiare l’uso di pesticidi nelle coltivazioni: le mele di Biancaneve, come tutta la frutta e la verdura perfette, hanno per forza della chimica nel ciclo produttivo, e la chimica uccide la terra, la biodiversità e le api. E occhio alle etichette dei prodotti confezionati: il millefiori si produce anche dallo sciroppo. Scegliere piccoli produttori serve a garantire una casa alle api oltre che a sostenere il nostro lavoro, che è bellissimo ma molto difficile».
È così dura?
«Viviamo in mondo parallelo, prendersi cura di loro è un impegno totalizzante. Come tante altre donne, devo ringraziare mia madre che mi aiuta con il bambino, altrimenti non saprei come fare. Per contro, viviamo circondati dalla bellezza di queste creature meravigliose, immersi nella natura, seguendo passo passo i cicli delle stagioni. È un dono».
Una curiosità: ma i fuchi?
«Non riescono a svolgere nessun lavoro necessario alla sopravvivenza della famiglia, tranne l’accoppiamento con la regina. Per il resto non servono a niente» dice fra il serio e il faceto.
È vero che muoiono dopo l’accoppiamento?
«Sì, una vitaccia. Ma anche la regina non è che se la passi meglio, l’unica cosa è che vive più a lungo delle altre, ma solo per deporre uova. No, meglio nascere operaie».