La guerra in Ucraina prosegue con un’escalation che coinvolge non solo il fronte ma anche la diplomazia. Washington valuta di autorizzare Kiev all’uso dei missili da crociera Tomahawk, con gittata fino a 2.500 chilometri. Sarebbe un salto qualitativo per la difesa ucraina, ma Mosca avverte che non cambierà l’equilibrio strategico.
Nel frattempo, il presidente Zelensky propone alla Polonia e agli alleati europei uno “scudo aereo congiunto” per respingere i droni e i missili russi che negli ultimi giorni hanno violato più volte i cieli baltici e danesi, costringendo la Nato a rafforzare l’operazione Eastern Sentry.
Sul terreno, gli attacchi si moltiplicano anche oltre confine: missili ucraini hanno colpito lo stabilimento “Elektrodetal” a Bryansk, mentre a Belgorod un raid ha provocato blackout e feriti. Mosca non è rimasta immune: un incendio causato da droni ucraini ha ucciso una donna e un bambino di sei anni. Putin risponde con un nuovo decreto di reclutamento per 135.000 cittadini, mentre la Russia si ritira ufficialmente dalla Convenzione europea contro la tortura.
L’Europa appare divisa. Orban ribadisce il veto all’adesione di Kiev all’UE, costringendo Bruxelles a studiare procedure alternative. La Commissione, intanto, lavora a un piano per utilizzare i 170 miliardi di beni russi congelati a sostegno dell’Ucraina. La Polonia avverte: “Questa guerra è anche la nostra”, mentre la Germania registra un’opinione pubblica sempre più compatta contro Mosca.
Sul piano simbolico, i frammenti di droni rinvenuti in Romania e i sospetti su navi “fantasma” russe nel Baltico confermano che il conflitto travalica i confini. Tra pressioni militari e incertezze politiche, l’Europa si trova di fronte a una scelta cruciale: limitarsi a contenere o assumere un ruolo diretto nella difesa di Kiev.