«Fino a qualche mese fa Donald Trump era considerato un reietto e, ancora oggi, il mainstream preferisce la guerra a una pace favorita dal presidente americano. Eppure si deve proprio alla sua postura la tregua raggiunta nella striscia di Gaza al pari di quella probabile tra Ucraina e Russia»: parola di Gennaro Sangiuliano, giornalista di lungo corso con un recente passato da ministro della Cultura, autore di due biografie dedicate al presidente americano la seconda delle quali (“Trump. La rivincita”, Mondadori) sarà presentata domani alle 18 nella biblioteca della Fondazione Tatarella a Bari.
Direttore, perché quella di Trump può essere considerata una rivincita?
«Nel 2017 diedi alle stampe una prima biografia di Trump in cui ne ripercorrevo la vicenda umana fin dalle origini tedesche, visto che il nonno emigrò da Kallstadt, piccolo centro della Renania, agli Stati Uniti nel 1885. Ora dobbiamo essere intellettualmente onesti: nessuno di noi, nel gennaio 2021 e cioè all’epoca dell’assalto a Capitol Hill, credeva che Trump potesse tornare alla Casa Bianca: tutti lo consideravano politicamente morto, quasi un reietto, anche alla luce delle vicende giudiziarie in cui era coinvolto. Poi gli è riuscita un’impresa che, nella storia americana, era stata realizzata soltanto da Grover Cleveland, 22esimo e 24esimo presidente degli Stati Uniti. Al di là di come la si pensi su Trump, la sua determinazione, la sua forza e la sua resilienza rappresentano un caso che merita di essere analizzato».
Il fatto che Trump non sia amato trova conferma nella scarsa enfasi che i principali giornali italiani hanno dato alla tregua tra Ucraina e Russia di cui il presidente americano si sta facendo promotore: perché?
«Una premessa: la pace e la vita dovrebbero rappresentare i primi valori per chiunque. In questo senso, anche una tregua di 30 giorni è utile a far tacere le armi e a evitare la morte di migliaia di persone. Detto ciò, il mainstream preferisce la guerra a una pace favorita da Trump. Eppure a Gaza, dove c’è ancora molto da fare per garantire una patria ai palestinesi e la sicurezza dello Stato di Israele, abbiamo una tregua alla quale si è arrivati in seguito a trattative aperte da Joe Biden, ma soprattutto grazie alla postura di Trump che è stato capace di convincere Hamas ad accettare il cessate il fuoco, da una parte, e Netanyahu a mitigare le sue iniziative militari, dall’altra. E lo ha fatto anche in virtù di un dato politico: in Michigan vivono molti mediorientali naturalizzati americani che, alle ultime elezioni presidenziali, hanno votato per Trump ritenendo che quest’ultimo avesse la giusta autorevolezza per fare pressione su Israele».
L’Ucraina ha accettato la tregua proposta da Trump, mentre la Russia è scettica: come andrà a finire?
«Tra Ucraina e Russia si instaurerà una tregua perenne, come in passato è avvenuto per le due Coree. Però bisogna partire dal realismo della storia e cioè dire con chiarezza che la Russia di Vladimir Putin ha aggredito l’Ucraina violando il diritto internazionale e che, nello stesso tempo, pensare di poter restituire all’Ucraina tutti i territori che le sono stati sottratti in tre anni di guerra è irrealistico. Piuttosto gli storici devono domandarsi se a suo tempo, poco dopo l’invasione russa dell’Ucraina e durante le trattative a Istanbul, non si poteva addivenire subito a un accordo meno doloroso per Kiev. Di questa situazione, dunque, Putin è il principale responsabile, ma restano anche le responsabilità di chi ha soffiato sul fuoco della guerra».
In tutto ciò Giorgia Meloni sembra tra stretta tra la necessità di salvaguardare l’“internazionale conservatrice”, di cui Stati Uniti e Italia fanno parte, e quella di garantire sostegno all’Ucraina, per non essere tacciata di filoputinismo: come deve comportarsi la premier?
«Meloni si sta muovendo benissimo perché vanta un rapporto privilegiato con Trump, che poggia sui pilastri culturali del patriottismo e del conservatorismo, e nel contempo si dimostra leale all’Unione europea di cui l’Italia è Paese fondatore. Essere europeisti, d’altro canto, significa decidere insieme, non subire decisioni altrui».
Quella stessa Unione europea accelera sul piano di riarmo con l’obiettivo di scoraggiare ulteriori iniziative militari russe: è la strada giusta?
«Il quadro che si definì al termine della seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti assunsero l’onere della difesa dell’Europa e del Giappone, non regge più. Bisogna trovare un punto di equilibrio tenendo presente che la nozione di Occidente è unitaria e che l’Occidente è composto tanto dall’Unione europea quanto dagli Stati Uniti».