Non si è fatta attendere la risposta di Mosca alle garanzie di sicurezza pensate dalla coalizione di Volenterosi nei giorni scorsi a Parigi. Un’iniziativa senza eguali, in realtà ancora sulla carta, ma che sta iniziando ad agitare il Cremlino. La replica è arrivata proprio dal presidente russo, nel suo discorso d’apertura della sessione plenaria del Forum economico orientale a Vladivostok.
«I possibili contingenti militari in Ucraina sono uno dei motivi principali per attirare l’Ucraina nella Nato. Pertanto, se dovessero comparire, partiremmo dal presupposto che questi saranno obiettivi legittimi da distruggere», ha sottolineato dal palco lanciando la minaccia nei confronti dei 26 Volenterosi. Sulla stessa linea, la Russia non può permettere alla Nato di schierare un contingente in Ucraina, vicino ai suoi confini, e farà tutto il necessario per garantire la propria sicurezza, ha dichiarato invece il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
Lo stesso Cremlino ha poi ammesso che dal vertice in Alaska di Ferragosto non ci sono stati grandi progressi, anche se Putin ha ripetuto ancora una volta che Mosca sarebbe il luogo migliore per un incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Un invito che suona come una boutade, sapendo benissimo dello squilibrio e dei rischi che impedirebbero una soluzione del genere.
L’Ue all’attacco di Budapest
Se finora si era fatto di tutto per evitare i veti dell’Ungheria o si era chiuso un occhio davanti alle partecipazione del presidente slovacco, Robert Fico, prima alla parata russa e poi a quella cinese, dopo l’intervento di Trump delle ultime ore qualcosa sembra essere cambiato. Il Tycoon aveva chiesto all’Ue di staccarsi definitivamente dal gas e dal petrolio russo, riferendosi in particolare a Budapest e Bratislava, le quali contribuirebbero a raggiungere quel 20% di forniture che l’Ue paga ancora a Mosca. Ieri ha rincarato la dose il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa.
«Budapest deve smettere di importare gas e petrolio dalla Russia: è il modo migliore per accelerare la fine della guerra», ha attaccato. Un affronto a cui ha risposto il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, rincarando la dose. «L’Ungheria acquista apertamente petrolio russo perché non abbiamo altra scelta, mentre alcuni Paesi europei lo acquistano segretamente attraverso deviazioni, perché è più economico».
La proposta di Bruxelles
Bruxelles ha proposto un «phase out» in tre tappe per il gas russo: dal primo gennaio 2026 un divieto di firmare nuovi contratti; lo stop agli accordi a breve termine già in corso entro il 17 giugno 2026 ed entro il 31 dicembre 2027 per quelli a lungo termine. Obiettivo che, a fine 2027, varrà anche per il greggio russo. La proposta sul tavolo fa leva sul diritto commerciale Ue che consente l’adozione delle misure a maggioranza qualificata per evitare il vincolo dell’unanimità e quindi i veti di Slovacchia e Ungheria anche se sono in corso colloqui per cercare di convincere le due capitali «a mandare un chiaro messaggio di unità» a Putin approvando la stretta a ventisette.
Ma se così non dovesse essere, Bruxelles si è detta pronta ad approvarla senza il loro sostegno. Anche perché meno forniture russe significa più forniture statunitensi. E i legami energetici tra Ue e Usa – che all’Ue costeranno 250 miliardi di dollari all’anno per tre anni – saranno al centro dell’incontro a Bruxelles la prossima settimana tra Jorgensen e il segretario di stato americano per l’energia, Chris Wright.