L’Italia continua a essere uno dei Paesi più penalizzanti per i lavoratori sul fronte fiscale e retributivo. Lo conferma il nuovo rapporto “Taxing Wages 2025” pubblicato dall’Ocse, che dipinge un quadro preoccupante: nel 2024 il nostro Paese si colloca al quarto posto per livello di cuneo fiscale, con il 47,1% del costo del lavoro destinato a imposte e contributi. Ma il dato forse più allarmante è un altro: gli stipendi netti italiani, a parità di potere d’acquisto, sono tra i più bassi d’Europa, superati perfino da Paesi come la Spagna, la Polonia e la Turchia.
I dati
Nel dettaglio, un lavoratore single senza figli che percepisce un salario medio in Italia porta a casa 41.438 dollari netti l’anno, contro una media Ocse di 45.123 dollari. Si tratta del 23esimo posto su 38 Paesi, una posizione deludente per una delle maggiori economie dell’Eurozona. Francia, Belgio, Germania e Austria – che pure hanno un cuneo fiscale superiore o simile – garantiscono stipendi netti molto più elevati: 48.500 dollari in Francia, oltre 52mila in Belgio, quasi 56mila in Germania e 59mila in Austria. Il cuneo fiscale, ovvero la quota di imposte e contributi sul costo complessivo del lavoro, è aumentato in Italia dell’1,6% rispetto al 2023, un incremento ben al di sopra della media Ocse (0,05 punti percentuali). A incidere maggiormente su questo aumento, secondo l’Ocse, è stato l’incremento dei contributi previdenziali. Solo Belgio, Germania e Francia presentano livelli superiori al nostro, mentre il divario con la media Ocse – ferma al 34,9% – si allarga.
Il costo del lavoro
Altro elemento rivelatore è la scarsa efficienza del sistema retributivo italiano. Secondo lo studio, ogni euro aggiuntivo di costo del lavoro si traduce solo in 0,68 euro netti per il lavoratore, il valore più basso tra tutti i Paesi Ocse. La media dell’area è 0,86. Questo significa che i benefici di eventuali aumenti di stipendio vengono erosi più che altrove da tasse e contributi. Eppure, il salario lordo medio in Italia, pari a 59.500 dollari, si colloca a metà classifica (19esimo posto), mentre il costo del lavoro complessivo (inclusi i contributi del datore di lavoro) raggiunge i 78.312 dollari, valore che ci colloca al 17esimo posto. Un dato che rende l’Italia più costosa per le imprese rispetto a Paesi come gli Stati Uniti (76.300 dollari), e meno generosa con i suoi lavoratori.
A fronte di questi numeri, il gap tra costo del lavoro e retribuzione netta rappresenta un freno strutturale alla competitività, ai consumi interni e all’attrattività dell’Italia come mercato del lavoro. Lo studio Ocse mostra infatti che nella maggior parte dei Paesi le retribuzioni nette sono aumentate in termini reali nel 2024, in seguito alla ripresa dei salari e al calo dell’inflazione. È successo in 28 dei 38 Stati Ocse. Ma l’Italia resta tra i Paesi dove lavorare conviene di meno, almeno guardando la busta paga. Nel confronto con gli altri Paesi avanzati, le distanze diventano abissali: in Svizzera lo stipendio netto medio raggiunge 84.728 dollari, negli Stati Uniti supera i 53.400 dollari, mentre Olanda, Norvegia, Lussemburgo e Regno Unito si attestano sopra i 60mila.
Il nostro Paese è invece più vicino ai livelli retributivi di Polonia (39.200) e Turchia (39mila), ma con un cuneo fiscale nettamente più alto. I dati Ocse lanciano dunque un doppio allarme: da un lato il costo del lavoro resta elevato, rendendo difficile per le imprese investire sul capitale umano; dall’altro, la pressione fiscale e contributiva abbatte la retribuzione netta, frenando i consumi e aumentando il rischio di diseguaglianze.