Le fonti rinnovabili in Italia continuano a crescere, sebbene in ritardo sugli obiettivi climatici fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. A fine 2024 le tecnologie pulite hanno raggiunto una potenza complessiva di 74.303 MW, facendo registrare un aumento di 7.477,8 MW rispetto ai 66.824,9 MW registrati nel 2023. Parliamo di oltre 1,8 milioni di impianti a fonti rinnovabili, che nel 2024 hanno coperto il 41,1% del fabbisogno energetico del nostro Paese.
La composizione dell’indice
Di tutti questi impianti, il 48,4%, è rappresentato da impianti solari fotovoltaici, il 28% da impianti idroelettrici, il 17% da eolico, seguiti con il 5% e 1% rispettivamente da bioenergie e geotermia. In quanto al ritardo sul raggiungimento degli obiettivi prefissati, le Regioni si muovono in ordine sparso da Nord a Sud della penisola. Con alcuni divari peculiari dovuti non tanto alle condizioni climatiche quanto alla burocrazia e alle diverse disponibilità di investimento. Nelle regioni meridionali, infatti, vi è il maggior numero di ore di sole in Italia (considerando i dati Gse): Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata presentano la quota più alta di radiazioni, 1850 kWh/m², tra le più alte d’Europa. Se si guarda invece alla capacità di pannelli fotovoltaici installati sul territorio, è il Nord a guidare il settore con punte del 13,4% della capacità installata. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna fanno da traino. In controtendenza nel meridione solo la Puglia che presenta una quota di pannelli solari installati pari alla Lombardia. A mettere nero su bianco questa differenza il portale Will media che ha incrociato i dati GSE e le analisi SolarGIS.
Le cause
Diverse le motivazioni alla base di questo divario, nonostante il potenziale del Mezzogiorno. A partire dalla maggiore disponibilità economica, un tessuto industriale più sviluppato e un accesso più semplice a finanziamenti delle realtà settentrionali. Le imprese locali investono in fotovoltaico per abbattere i costi energetici. Il Sud, è spesso bloccato da vincoli normativi, archeologici o paesaggistici. Autorizzare un impianto può richiedere mesi o anni. Secondo Legambiente, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni è tra i principali ostacoli alla transizione energetica. Molte aree del Sud non sono adeguatamente collegate alla rete elettrica nazionale. La produzione locale di energia non può essere sempre trasportata e redistribuita con efficienza. Nonostante un enorme potenziale, manca ancora un vero e proprio ecosistema dell’energia rinnovabile al Sud. Le iniziative sono spesso isolate e non sistemiche.
Le norme nazionali
Ma la preoccupazione arriva anche dalla situazione che si è venuta a creare tra normative poco adeguate alle sfide che il Paese ha di fronte tra quella climatica, energetica e sociale. Come mette in evidenza l’ultimo rapporto di Legambiente, tra Decreto Aree Idonee che lascia, colpevolmente, alle Regioni troppo margine di interpretazione e intervento, Decreto Agricoltura che non distingue tra le vere aree destinate all’agricoltura e quelle marginali, degradate, vietando, addirittura, la possibilità anche ad un agricoltore di poter realizzare un impianto per il proprio fabbisogno in una piccola porzione della sua azienda, perché i suoi tetti potrebbero non essere sufficienti, o di realizzarlo in aree meno produttive, mentre nel nostro Paese si continua purtroppo a coltivare all’interno di alcuni siti di interesse nazionale o regionale da bonificare, perché le autorità non controllano, quando invece si potrebbe più utilmente produrre energia col fotovoltaico a terra, senza ovviamente ostacolare le operazioni di risanamento; e Testo Unico, che non solo non unifica purtroppo la complessa normativa in tema di rinnovabili, ma scarica sui Comuni, poco attrezzati e senza risorse adeguate, molti dei processi autorizzatori, si è venuta a creare una situazione che rischia di bloccare ancora di più la realizzazione degli impianti. Norme che, a volte, a livello regionale, non distinguono un impianto solare a terra da uno agrivoltaico, che pongono limiti senza senso e nei fatti creano un grande disordine, dove Regioni e Comuni vanno per la propria strada senza seguire criteri e principi unificanti.