«Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». E infatti Luca Medici, giunto con «Buen Camino» al sesto film della saga di Checco Zalone, mette in scena questa volta una famiglia tradizionale e moderna insieme: infelice e disastrata, a modo suo.
Dopo aver vestito i panni del cantante meridionale espatriato a Milano in cerca di successo, dell’impiegato comunale sballottato in giro per il mondo, del venditore di aspirapolvere sull’orlo del fallimento e del migrante più o meno clandestino, l’attore pugliese interpreta ora un ricco ereditiero nullafacente. Fidanzato con una modella venticinquenne, privo di rapporti con la figlia e con l’ex moglie, Checco ha un unico obiettivo: dilapidare il patrimonio lasciatogli dal padre. Le sue giornate scorrono tra ristoranti e hotel di lusso, shopping, feste in villa e sullo yacht, finché la figlia Cristal scompare. Da qui prende avvio la ricerca, che conduce Checco in Spagna, lungo i sentieri del Cammino di Santiago.
Parola d’ordine: semplicità
«Buen Camino» ha poco più da offrire di una sinossi: una trama semplice e lineare, un insieme coerente di episodi immersi nella scenografia bucolica del Cammino, un viaggio di ottocento chilometri durante il quale Checco riconquista, passo dopo passo, la fiducia della figlia. La chiarezza degli intenti non lascia dubbi: anche questa volta Medici firma un film pensato per tutti e, ancora una volta, l’operazione riesce.
Dietro la semplicità della struttura narrativa, le interpretazioni volutamente modeste, i cliché e gli elementi umoristici che ritornano dai film precedenti, si cela però un sottobosco di categorie analitiche con cui Medici prende di mira usi e costumi della contemporaneità. A uno sguardo attento non sfuggono i richiami all’individualismo e al materialismo della società capitalistica attuale, all’incapacità di mettersi nei panni dell’altro — incarnata, nella prima metà del film, dal macchiettistico ricco ereditiero di cui Checco si fa portavoce — e alla «spiritualità da supermercato» come unica via di fuga da un orizzonte consumistico che divora tutto, religiosità compresa.
Una dinamica che richiama esplicitamente Battiato, suggerita proprio dal tema del Cammino di Santiago.
Capovolgendo Nietzsche
Lungi dall’applicare forzatamente sovrastrutture teoriche a Buen Camino, può tornare utile una massima di Nietzsche: «Non ci sono fatti, solo interpretazioni». Capovolgerla è quasi automatico: niente interpretazioni, nessuna teoria. Solo fatti. È un fatto che, alle porte del 2026, il regista con i più alti incassi della storia del cinema italiano arrivi in sala con un film che scherza su alcuni dei temi più incandescenti della contemporaneità: Gaza, l’11 settembre 2001, Schindler’s List. È un fatto che tutte le persone in sala — un cinema in centro, nella Milano più che bene — abbiano riso.In questo senso, Buen Camino appare più che mai come un progetto nostalgia: destinato a essere amato da chi sostiene che «non si può più dire niente» e poco digerito dai fautori del politicamente corretto. Eppure, si ride. Bello o brutto, giusto o sbagliato. Si ride. Solo fatti, capovolgendo Nietzsche. Il mordente satirico del comico pugliese, almeno per ora, non si è allentato.
