La giornata odierna segna un nuovo salto nella tensione tra Russia, Ucraina e Nato. L’Unione europea, con il sostegno dell’Alleanza Atlantica, accelera la creazione di un sistema integrato di difesa aerea, il cosiddetto Eastern Flank Watch, che si intreccia con il progetto del “muro di droni” dal Baltico al Mar Nero. Una decisione maturata dopo gli ennesimi episodi di sconfinamento: chiusure temporanee di spazi aerei in Lituania, Danimarca e Svezia hanno riacceso l’allarme, mentre Mosca nega ogni responsabilità.
Dietro questi eventi, osservatori vedono una strategia di logoramento: Mosca testa i radar Nato, misura la reattività occidentale e semina insicurezza nelle opinioni pubbliche. Una guerra psicologica che si somma al fronte militare. A Sumy, le forze russe rivendicano nuove avanzate, mentre Kiev denuncia la tattica dei “mille tagli”, piccoli gruppi d’assalto usati per erodere le difese. A Zaporizhzhia, intanto, droni caduti vicino alla centrale nucleare hanno spinto l’Agenzia internazionale per l’energia atomica a parlare di “gioco col fuoco”.
La crisi si allarga sul piano politico. L’Ungheria rafforza la propria linea filo-russa con veti e accuse reciproche a Kiev, mentre la Polonia invita i cittadini a lasciare la Bielorussia. Malta compie invece un passo simbolico riconoscendo la Crimea come territorio ucraino. Nel frattempo, un’inchiesta del Washington Post rivela esercitazioni congiunte tra Russia e Cina in scenari che richiamano Taiwan, segno di un fronte autoritario sempre più compatto.
L’Europa si trova così di fronte a una doppia sfida: difendere i propri cieli e, insieme, resistere alla pressione psicologica di un Cremlino che punta a moltiplicare la percezione di vulnerabilità. Una strategia che non mira solo al campo di battaglia, ma al cuore politico delle democrazie occidentali.