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Cronaca di un delitto annunciato. Il romanzo spietato di Muriel Spark

Che romanzo feroce, Biglietto di sola andata. Muriel Spark non comincia con un prologo o un paesaggio, ma con un referto: la protagonista sarà trovata morta per ferite multiple da arma da taglio. È il contrario della suspense classica, il colpo di scena sta all’inizio, e da lì in poi non scopriamo se accadrà, ma…
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Muriel Spark (1918-2006), figura di spicco della letteratura scozzese

Che romanzo feroce, Biglietto di sola andata. Muriel Spark non comincia con un prologo o un paesaggio, ma con un referto: la protagonista sarà trovata morta per ferite multiple da arma da taglio. È il contrario della suspense classica, il colpo di scena sta all’inizio, e da lì in poi non scopriamo se accadrà, ma come e soprattutto perché. Spark, con la sua consueta impassibilità britannica, costruisce una macchina narrativa che assomiglia a una deposizione: cronologica, precisa, eppure continuamente disturbata da tic, segnali, scarti che parlano d’altro, di un disegno interiore che la trama si limita a ratificare.

Una condanna anticipata

Lise, contabile, solitaria, vestita come un semaforo impazzito, entra in scena litigando con una commessa per un abito antimacchia. Sembra un dettaglio di colore, invece è un manifesto; il rifiuto del mondo che la misura, la classifica, la protegge con tessuti tecnici e buone maniere. Spark capovolge l’idea di protezione. L’abito funzionale diventa superstizione moderna, talismano da grande magazzino. Lise sceglie il contrario: colori che sporcano l’occhio, disponibilità a macchiarsi. Non c’è allegoria martellante, c’è un’evidenza glaciale: il corpo come scena del delitto annunciata.

Viaggio senza ritorno

In aereo la vediamo accanto a un sedicente guru macrobiotico, comico involontario più interessato alle proprie regole alimentari che alle persone. Lise lo usa come uno specchio storto, flirta, si ritrae, osserva un altro passeggero con uno sguardo che è già una chiamata. Non vuole essere salvata, vuole essere trovata. La voce narrante, onnisciente e impersonale, elenca movimenti, biglietti, oggetti (un tagliacarte, un soprabito, una sciarpa) come indizi di un processo già deciso; il lettore, più che investigatore, è il giurato convocato a posteriori.

La fatalità come progetto

La grandezza di Spark sta nell’economia: frasi brevi, sguardo spostato di mezzo grado, ironia senza complicità. Il presente è tagliato come una pellicola, si vedono gli spigoli, non i raccordi. Lise scruta, sceglie, programma; se qualcuno ancora parla di fatalità, Spark toglie l’alibi: la fatalità è un progetto. Lise cerca il suo carnefice con la metodicità con cui un viaggiatore controlla il gate. Qui l’autrice innesta il suo bisturi morale: fino a che punto la vittima è autrice della propria scena? È una domanda scomoda, e Spark non la traveste da metafora terapeutica. La sua freddezza, più che crudeltà, è rispetto: non concede il conforto della diagnosi.

L’arte della messa in scena

C’è un dettaglio che non smette di tornare: i colori. Il corpino giallo limone, le V lilla e arancioni, le righe bianche e rosse. È un costume da parata e insieme un target; una strategia di visibilità che funziona come un annuncio luminoso. Il linguaggio asettico del racconto, quasi burocratico, si incolla a questa teatralità cromatica generando un effetto ipnotico. Più Spark registra, più immaginiamo, più sappiamo, meno capiamo. È il paradosso della verità in tribunale.

Rileggendo oggi questa nuova edizione Adelphi, con la traduzione tersa e nervosa di Monica Pareschi, si sente quanto Biglietto di sola andata sia un romanzo contemporaneo. Parla della nostra attrazione per la scena del crimine, della pornografia del caso, dell’ansia di confermare un profilo. Spark, in anticipo di decenni, vede la messa in scena della vittima come un’opera concettuale. Il libro dura poco più di un’ora di lettura, ma basta per installarsi nella testa come un’inchiesta irrisolta. All’ultima pagina non proviamo pietà né indignazione, ma qualcosa di più sconcertante: l’impressione che Lise ci abbia usati come comparse, e che l’unica forma di giustizia possibile fosse rispettare il suo copione.

Resta l’incipit, firma in calce a ogni scena. Non è un colpo di teatro, è una sentenza. Spark, con grazia quasi burocratica, ci ricorda che il romanzo può ancora essere un atto legale, prendere atto dei fatti, restituirli senza abbellimenti, lasciare al lettore la macchia che nessun trattamento speciale rimuove. L’umorismo che a tratti affiora, davanti a certe figure minori, si secca presto in gola. Come succede quando ci accorgiamo che era soltanto il modo più educato per dirci addio.

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