Claudia Cardinale se n’è andata: a 87 anni, discreta. Non aveva fatto sapere di star male e la famiglia ha comunicato con poche righe alle agenzie, senza spiegare la causa del decesso.
Tutti i giornali francesi hanno dato la notizia in prima pagina perché Claudia Cardinale, anche se era italiana – un’italiana di Tunisi – non si è mai sentita completamente italiana. Era figlia di emigranti siciliani che, però, erano a loro volta nati in Nord Africa, dove parlavano dialetto siciliano e francese.
Il figlio segreto
«Quando ho fatto il mio primo film in Italia avevo vent’anni ed era il periodo più delicato di tutta la mia vita, dopo aver vinto un concorso di bellezza cui non volevo partecipare. Ero al mio primo film importante, «I soliti ignoti», di Mario Monicelli. Il regista mi parlava e io non capivo nulla perché non parlavo ancora italiano. La mia prima lingua è stata il francese e il mio nome non è Claudia, ma Claude, un nome anche maschile. In fondo io all’inizio rifiutavo la mia femminilità».
Era un momento terribile perché Claudia era stata vittima di violenza ed era incinta. «Non avevo voluto abortire, decisi di tenere quel bambino. Dopo tre film- allora i film venivano prodotti in gran velocità – fui costretta a dirlo al produttore, Franco Cristaldi».
Erano anni, quelli, alla fine degli anni Cinquanta, in cui una gravidanza fuori dal matrimonio veniva vissuta come un vulnus, una ferita e quei bambini venivano chiamati «i figli della colpa». Erano gli anni degli aborti clandestini, delle mammane, delle ragazze che morivano per abortire clandestinamente, perché non c’erano alternative.
Cristaldi, che nel 1966 sarebbe anche diventato suo marito, decise di mandarla in Inghilterra a partorire in segreto. Il figlio, una volta tornato, fu chiamato Patrick e venne presentato come suo fratello, il fratellino che la madre aveva avuto dopo tanti anni. «Mi sono sempre pentita di quella decisione, che però mi ha permesso di vivere il momento più magico del cinema italiano».
Alain Delon amico per sempre
Mauro Bolognini la diresse in «Il bell’Antonio», dove interpretava la ragazza che veniva rifiutata da Marcello Mastroianni perché lui era impotente. Divenne amica di Jean-Paul Belmondo e di Alain Delon, con il quale recitò in «Il Gattopardo», di Luchino Visconti.
«Quella parte, di Angelica, mi diede una grandissima popolarità, anche se, secondo me, il film migliore di Alain – che è rimasto mio amico fino alla sua morte – è “Rocco e i suoi fratelli”. Pensa», mi disse nel corso di un incontro, «l’abito che indossavo durante il ballo con Tancredi, il personaggio interpretato da Delon, era talmente stretto e con un busto talmente rigido che mi tagliò la pelle sui fianchi e uscì proprio sangue. Non dissi nulla, ma quando Visconti lo scoprì rimase impressionato: “Ma perché non me l’hai detto l’avrei fatto allargare”». Non voleva disturbare, «nella mia vita ho sempre cercato di adattarmi alle situazioni, anche se spesso sono state delle scelte che mi hanno fatto anche male, poi con gli anni ho capito che era meglio tornare ad essere quella che ero da ragazza quando preferivo fare il maschiaccio, farmi chiamare Claude e non Claudette come avrebbero voluto chiamarmi a scuola. Perché forse nella vita si è davvero felici solo quando si è se stesse fino alla fine: questo vale sia per un uomo sia per una donna».
Neppure per Cardinale la violenza subita da ragazza è rimasta senza conseguenze. E, una volta liberatasi dai suoi panni da bambolina del cinema italiano (in quel ruolo la volevano anche in America, dove divenne amica di Paul Newman), abbracciò il femminismo, manifestando per la libertà della donna e per la libertà di scelta, anche di fronte a una gravidanza.
«Non mi sono mai pentita di aver avuto Patrick, con cui ho avuto la fortuna di avere un bellissimo rapporto, ma non dimenticherò mai quel momento della mia vita». Con l’uomo che l’aveva resa madre non volle mai avere rapporti. «Un giorno ero a un gala, a Montecarlo, con tutta la famiglia Grimaldi e, dal fondo della sala, si sentì un uomo – che non merita questo nome – urlare: “Claudia, io e te abbiamo avuto un figlio”. Mi sentii gelare, non dissi nulla. La famiglia Grimaldi capì la situazione: fu allontanato immediatamente. Non lo vidi mai più».
Cristaldi (ma non l’ha mai chiamato Franco, sempre Cristaldi) intanto l’aveva anche sposata e con lui ha realizzato tanti film, prima e dopo il matrimonio avvenuto in America.
L’incontro con Squitieri
Ma ci fu un film che sconvolse, stavolta in positivo, la sua vita: «I guappi», diretto da Pasquale Squitieri, di cui si innamorò perdutamente. A Napoli, durante le riprese del film, quando si rese conto di essere innamorata del regista, cercò di resistere: era sotto contratto con Cristaldi. Ma l’amore fu più forte: «Squitieri era andato a New York per lavoro, non ce la feci e corsi da lui».
Quella scelta la pagò cara: né lei né lui trovarono lavoro. Cristaldi era stato generoso con lei, ma rimase troppo ferito da quell’abbandono. Nell’ambiente la vedevano come la traditrice e poi tutti, registi e sceneggiatori, speravano di fare film con la «Vides», la potentissima casa cinematografica di Cristaldi. Fu un periodo complicato. Cardinale e Squitieri rimasero insieme per 27 anni e hanno avuto anche una figlia, chiamata Claudia come lei. E insieme hanno girato tanti film.
Fu un rapporto difficile: vivere con un’artista non è mai facile. Se poi sei un’artista popolare in tutto il mondo, come lei, è inevitabile che si creino momenti di tensione. E così fu. Si separarono e lei decise di andare a vivere a Parigi con la figlia, che ha sempre potuto vedere il padre, con cui Claudia – un carattere dolcissimo – ha sempre cercato di avere un rapporto sereno, anche se non è sempre stato facile.
In Francia, ha anche girato un film, «Le Fils», sul tema dell’omosessualità: un film non epocale, ma che è stato importante perché affrontava, nel contesto tunisino, il tema dell’omosessualità, considerato un vero reato contro natura in molti Paesi arabi ancora oggi.
Sempre per i più deboli
«Ho sempre sostenuto le minoranze e sono sempre stata molto amica degli omosessuali. Quando ho lavorato in America – per un breve periodo, perché Hollywood ti ingabbia in ruoli molto precisi ed è difficile viverci per una come me, nata in Tunisia e cresciuta in Europa – ero diventata amica di Rock Hudson, che era costretto dai produttori a tenere nascosta la propria omosessualità. Facevamo finta di stare insieme: era un modo per aiutarlo nel lavoro. Non avrebbe più lavorato se avessero saputo che il seduttore di Hollywood, quello che baciava così bene nei suoi primi piani, preferiva i ragazzi».
È considerata un’attivista femminista per via del suo impegno a favore dei diritti umani e delle cause ecologiche, e per la sua determinazione nel lottare contro le logiche che le imponevano un modello femminile predefinito, emancipandosi e affermando la propria identità e libertà.
Aveva anche creato una fondazione dedicata alle cause ecologiche, dimostrando la sua attenzione verso tematiche ambientali e sociali.
Una dolcezza disarmante
L’ultima volta che l’ho incontrata è stato in uno studio televisivo Mediaset, a Cologno Monzese. L’avevo incrociata diverse volte: in teoria ci eravamo anche molto parlati. Spesso la vedevo nella sede di Giorgio Armani, di cui era grande amica, ed era stata sempre gentile. Quel giorno la vidi passare, ma non volevo disturbarla, perché era pieno di gente e tutti le chiedevano qualcosa. Poi mi vide, e venne verso di me per salutarmi. Mi ammazzò: io, solo un giornalista, che venivo raggiunto da una delle dive più importanti del mondo per salutarmi. Un episodio semplice, ma che sottolinea il carattere di questa donna: diretta, dolce, educata, ma con la forza di dire di no.
Una forza che non l’ha mai abbandonata, in nome della sua libertà e che alla fine ha vinto su ogni avversità.