Un legame dal valore davvero particolare quello che si era instaurato tra Al Bano e il defunto Papa Francesco. Perché per Al Bano la fede non è solo un sentimento interiore, ma anche una bussola che orienta la sua esistenza, privata e pubblica. Da sempre vicino alla Chiesa, il cantante ha costruito nel tempo un rapporto profondo con diverse figure del mondo ecclesiastico, ma con Francesco si è creato un rapporto umano, autentico, fatto di incontri, sorrisi, riflessioni e, soprattutto, grande stima reciproca. «Papa Francesco era il Papa degli ultimi», ripete spesso Al Bano, con quella convinzione semplice ma incrollabile che caratterizza la sua visione spirituale. «Un uomo che camminava con i piedi per terra, ma guardava sempre verso il cielo. Lo ammiravo per la sua forza, per la sua semplicità, per come riusciva a parlare al cuore della gente».
Una giornata particolare
Il loro primo incontro avvenne in un momento particolarmente delicato per il cantante. Era il dicembre del 2016 e Al Bano si trovava a Roma per partecipare al Concerto di Natale in Vaticano. Ma un infarto lo colpì all’improvviso, costringendolo a un ricovero d’urgenza. Lì, l’artista visse ore difficili. Avrebbe voluto tornare al San Raffaele di Milano, ma fu convinto dai medici a farsi operare nella Capitale. Pochi giorni dopo l’intervento, nonostante il parere contrario del cardiochirurgo, Al Bano insistette per mantenere un impegno fissato da tempo: la presentazione in Vaticano di un disco benefico destinato all’Ospedale Bambin Gesù. «Meglio morire al cospetto del Papa che in un letto d’ospedale», disse con la consueta ironia che maschera, ma non nasconde, una fede incrollabile. E mantenne la parola. Si presentò all’incontro, con il cuore ancora convalescente ma l’anima carica di gratitudine.
«Parlava con dolcezza»
Quell’incontro lasciò un segno profondo. «Mi ha colpito subito la sua umanità. Guardava ognuno negli occhi, parlava con dolcezza, accarezzava i malati, ascoltava davvero. In lui ho visto un pastore vero, uno che si prende cura del suo gregge non solo a parole». Da allora Al Bano ha avuto occasione di incontrare il Santo Padre diverse volte. Ogni volta, racconta, è stata come la prima. «C’era qualcosa in lui che ti faceva sentire a casa. Con lui non c’era distanza, non c’era protocollo, ma solo l’essenziale: l’incontro tra due esseri umani. Ti guardava come se ti conoscesse da sempre». Un episodio che lo ha particolarmente emozionato è legato a una visita in Vaticano con una persona proveniente dal Madagascar. «Mi avevano detto che era impossibile vederlo, ma in meno di cinque minuti ci trovammo davanti a lui. E non si limitò a un saluto veloce: ci dedicò 45 minuti, parlando, ascoltando, sorridendo. Questo era Papa Francesco: un uomo che trovava il tempo anche dove il tempo sembrava non esserci». Per Al Bano, la scelta di Jorge Mario Bergoglio di chiamarsi Francesco fu molto più di un gesto simbolico: «In quel nome c’era già tutto il suo programma: povertà, amore per la natura, attenzione agli ultimi, spirito francescano. Ha scelto la via più difficile, ma anche la più vera. Non essere un capo, ma un soldato di Dio».
«Confido nello Spirito Santo»
Le critiche che spesso erano rivolte al Pontefice non lo sorprendono. Anzi, gli fanno venire in mente un paragone drammatico ma quanto mai calzante: «Cristo arrivò a Gerusalemme tra gli applausi della folla e, dopo appena una settimana, quella stessa folla gridò: “Crocifiggilo!”. La storia, purtroppo, tende a ripetersi». Conclude con un augurio che è anche una preghiera: «Spero che chi verrà dopo di lui abbia la stessa forza, la stessa umiltà e lo stesso amore per il prossimo. Ma soprattutto confido nello Spirito Santo, che da duemila anni guida questa barca, anche nelle tempeste».