Nei giorni scorsi si è tenuto il webinar “Vedere oltre. Scenari futuri nel settore agroalimentare. Focus su ingredienti e materie prime”, organizzato da Lum Strategy Innovation e dallo Studio Legale Safe Green.
L’incontro ha offerto un’analisi prospettica degli scenari futuri sociali ed economici e delle normative emergenti nel settore alimentare, con uno sguardo particolare su ingredienti, materie prime e nuovi modelli di sostenibilità. Tra i relatori anche Antonello Garzoni, rettore dell’Università Lum e presidente di Lum Strategy Innovation.
Professore, qual è il ruolo dell’innovazione negli scenari futuri legati al settore del food e quello dell’Università?
«L’agroalimentare è probabilmente una delle industrie più importanti che abbiamo in Puglia. La formazione, quindi, è centrale. Dobbiamo lavorare su una filiera produttiva già molto diffusa nell’ottica di alcuni elementi centrali: il primo è pensare sostanzialmente a un agri-tech che agisca nell’ambito della lavorazione e dello sviluppo, ma con una progettualità orientata al futuro, al cambiamento e all’innovazione. Innovazione legata ai nuovi modi di produrre. E questo riguarda nello specifico la parte più “agri”. E poi è anche un tema che viene richiamato anche nel webinar, perché le aziende del Sud devono progredire e iniziare a pensare a un’innovazione di prodotto, ma anche di marketing e di branding, con una costruzione dell’identità molto precisa per il consumatore. L’obiettivo di questo convegno è quello di evidenziare come ci sia, in un contesto molto tradizionale come quello dell’agricoltura e del food, la necessità di pensare a come stimolare l’innovazione partendo da nuovi scenari».
Da questo punto di vista, quali sono i trend che avete evidenziato?
«Innanzitutto la sostenibilità. I prodotti hanno sempre più un’attenzione alla sostenibilità. Le filiere sono diventate più responsabili, e questo è un aspetto centrale. Questo è collegato a ciò che rappresenta molto spesso l’aspetto più salutista, che a volte è collegato alla sostenibilità ma non è necessariamente una sovrapposizione. Quindi un’identificazione un po’ più “healty” per la quale le persone tendono a mangiar meglio e quindi ad avere prodotti alimentari più organici, naturali, collegati anche a un minor assorbimento calorico. Poi c’è tutto un tema di scoperta di gusti di mercato, perché molto spesso si pensa all’alimentare come un prodotto che ha le proprie caratteristiche. In realtà le nostre aziende, le più importanti, sono anche quelle che esplorano mercati differenti, come il mercato arabo piuttosto che quello asiatico. Dove magari anche l’utilizzo di spezie, penso nell’ambito di prodotti alimentari, ha un ruolo centrale. Pensiamo ad aziende che vogliono entrare anche nei mercati asiatici, partendo dalla Puglia. Se non iniziano ad avere una grande consapevolezza di quelli che sono i trend, anche del consumatore globale, difficilmente possono imporre il proprio gusto. Perché poi l’alimentare si scontra anche con quello che rappresenta le modalità di gestione».
Restando in tema di esportazione, tra i settori più importanti per le nostre imprese, c’è la possibilità che i dazi possano creare danni concreti?
«Sicuramente, però guardiamo un po’ ai mercati. Sul mercato americano, che su molti prodotti alimentari è anche molto chiuso, non è sempre esplorato dalle aziende italiane. È un mercato che per quanto possa apparire molto grande, a volte non lo è nell’ambito dei portafogli export delle aziende italiane. Per certi versi credo che il ruolo dei dazi noi l’abbiamo stemperato cercando dei mercati che sono più aperti. Oggi il mercato cinese, indiano, quello degli Emirati, è un mercato aperto a quelle che possono rappresentare le caratteristiche sostanziali dei prodotti europei, in particolare degli italiani. Questo può rappresentare un ruolo diverso a fronte di una chiusura di alcuni mercati, che ci spinge a guardare in altre direzioni più promettenti».
Questa collaborazione che lancerete con Safe Green, in cosa consiste?
«È una collaborazione collegata al tema della proprietà intellettuale e di altri elementi legati al settore dell’agroalimentare. Questa collaborazione va a guardare alla capacità di lavorare insieme, come università e azienda fatta di professionisti, a supporto di un percorso di crescita. Io credo che l’obiettivo complessivo della nostra università sia sempre quello di far crescere il territorio. Quindi trovare sintonia con partner competenti è un po’ lo scopo dello sviluppo di iniziative di questo genere, di costruzione di modelli che non sono solo legati a un modello teorico».