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La raccolta fondi per l’Imam e l’apologia del terrorismo. Lavorava al Comune di Bari uno degli arrestati

Il denaro portato in Albania a sostegno della famiglia dell’Imam e per finanziare la Jihad, la chat per inneggiare all’ideologia islamica, con video tradotti e comunicati. Ma anche il progetto di creare a Bari una nuova moschea, sulle ceneri di quella esistente che viveva un periodo di contrasti interne per questioni economiche. Sono i punti…
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Il denaro portato in Albania a sostegno della famiglia dell’Imam e per finanziare la Jihad, la chat per inneggiare all’ideologia islamica, con video tradotti e comunicati. Ma anche il progetto di creare a Bari una nuova moschea, sulle ceneri di quella esistente che viveva un periodo di contrasti interne per questioni economiche.

Sono i punti cardine su cui si poggia l’attività investigativa degli agenti della Digos di Bari che ieri ha condotto all’arresto di quattro cittadini albanesi: ai domiciliari sono finiti Yljan Muca, 31 anni, Roland Leshi, 37 anni, Elsio Ramku, 33 anni, Roland Belba, 37 anni, residenti tra Bari, Adelfia e Rutigliano.
Muca, secondo l’inchiesta coordinata dal pm antimafia di Bari, Domenico Minardi, sarebbe stato il promotore dell’iniziativa di raccolta del denaro, Leshi e Ramku avrebbero avuto il ruolo di intermediari e Belba, cognato di Muca, con la complicità di altre due persone in Albania, avrebbe trasferito i soldi attraverso canali non tracciabili e, in un caso, trasportando il denaro in un borsone nascosto in un camion a bordo di un traghetto.
Negli ultimi due anni sono stati documentati viaggi ogni due mesi. I fatti contestati dalla Dda risalgono al periodo compreso tra maggio e luglio 2020. Le indagini sono partite da un dato: la presenza nel Comune di Adelfia del nucleo familiare di Roland Leshi, caratterizzato da una marcata vocazione alla radicalizzazione religiosa, al punto tale da frequentare un corso di approfondimento del Corano e costringere l’intera famiglia, incluso bambini piccoli, a seguirne le leggi.
«I due figli minori – scrive il gip Francesco Mattiace – sono stati indirizzati verso concetti religiosi di assoluto rigore e il più grande di età, di circa 8 anni, risultava spesso rimproverato, soprattutto durante il Ramadam, qualora trascurasse di recitare le preghiere coraniche negli orari previsti, secondo le modalità stabilite dal Corano». Egualmente devoto Elsio Ramku, che nella stessa giornata si era svegliato alle 4 per recitare le invocazioni ad Allah e nel pomeriggio era andato in moschea a pregare, sgridato per questo da sua madre.
Entrambi erano irreprensibili sul posto di lavoro: Leshi come operaio agricolo, Ramku assunto, dopo aver superato un concorso pubblico (aveva acquisito la cittadinanza italiana), all’ufficio tecnico del Comune di Bari. E, «pur intrattenendo buoni rapporti nell’ambito lavorativo – evidenzia il gip – in realtà esprimevano concetti niente affatto lusinghieri dell’Italia e degli italiani ritenuti un popolo di “miscredenti”».
Secondo l’accusa, i due avrebbero avviato una vera e propria attività di proselitismo con invocazioni religiose, richiami alla fede islamica da seguire nella vita quotidiana, rifiutando pratiche cristiane, come l’accensione di una candela per commemorare i defunti, aderendo al Corano anche per l’impostazione del rapporto con le donne in contesto familiare e per il divieto dei festeggiamenti natalizi.
Ma non solo. Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, gli investigatori hanno scoperto che valutavano positivamente l’attacco fanatico alla sede della rivista “Charlie Hebdo” e approvavano la pratica del martirio. Ramku, poi, aveva costituito l’associazione Firdeus, promossa e fondata a seguito delle frizioni sorte tra i fedeli frequentanti la moschea barese di via Cifarelli per la gestione del centro di culto. leshi e Ramku si dedicavano, secondo l’accusa, alla ricerca di finanziamenti da inviare, su iniziativa di Yljan Muca, in Albania. Il fine sarebbe stato di sostenere l’’attività terroristica dell’Imam della Moschea “Xhamia e Letres” a Kavaje (Tirana), Genci Abdurrahim Balla, ritenuto vicino all’associazione Isis Daesh e già condannato a 17 anni di reclusione per aver reclutato decine di combattenti inviati in Siria.
A tal scopo, avrebbero utilizzato la “zakat”, la “purificazione”, uno dei cinque pilastri dell��Islam. Si tratta di una contribuzione dovuta, con percentuali variabili tra il 2,5 e il 10 per cento, sugli utili prodotti da un’attività economica, nel giro di un anno, e destinata a scopi caritatevoli. Il cognato di Muca, con la complicità di altre due persone in Albania, avrebbe trasferito il denaro. A Muca è contestato anche il reato di apologia di terrorismo per aver diffuso su una chat whatsapp, la stessa sulla quale avrebbe lanciato la raccolta di denaro, un video sull’arresto di 40 affiliati all’Isis «con la raffigurazione delle effigi di alcuni Imam, tra cui Genci Abdurrahim Balla – si legge – e con conseguente esaltazione della condotte commessi da questi e delle ragioni della detenzione con presa di distanza dall’azione della polizia».

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