I 20 mila euro versati sul conto di famiglia, 12 ore dopo averli ricevuti assieme al pacco con la carne pregiata. Gli accordi per gli appalti, le accortezze per non essere intercettati, come lasciare i telefoni in auto o in un’altra stanza, le pressioni sui dipendenti, la conoscenza accurata di indagini in corso.
Il vino al fratello cappellano, i pranzi pagati dalla Protezione civile, la gestione sistematica e clientelare di lavori, con il sistema collaudato degli affidamenti sotto soglia. Un altro frammento di scenario, relativo a quanto accaduto all’interno della Regione Puglia negli ultimi due anni, emerge dall’informativa che la guardia di finanza ha depositato in procura, su Marco Antonio Lerario, a capo della Protezione civile fino al suo arresto, il 23 dicembre. Ieri doveva discutersi il suo ricorso al riesame di Bari, ma il suo avvocato, Michele Laforgia, ha rinunciato.
IL BONIFICOLa mattina del 23 dicembre, proprio mentre Lerario viene arrestato dai finanzieri subito dopo aver preso la tangente da 10 mila euro dall’imprenditore Luca Leccese, sua moglie è in banca, ad Acquaviva. Sta versando sul conto cointestato 20 mila euro, in banconote da 50 euro, la stessa somma ricevuta la sera prima dall’altro imprenditore amico, Donato Mottola. Sarà poi eseguito un bonifico in favore di una ditta che esegue lavori di frantumazione pietre, scavo, drenaggio e impermeabilizzazione di terreni. Interrogato dai magistrati dopo l’arresto, Lerario dirà che si era accorto del denaro infilato da Mottola nel pacco con la carne, ma di essere intenzionato a restituirlo. Il versamento in banca, assieme al ritrovamento di altri 18.950 euro in casa (in un comodino e in cassaforte) per gli inquirenti dimostra che ha mentito.
IL SOA E IL VINOIl 21 dicembre, alla vigilia dell’incontro per la mazzetta da 20 mila euro, dopo aver incontrato Lerario nella sua stanza e aver ottenuto la variazione dei documenti su lavori svolti, che gli faranno ottenere la preziosa certificazione Soa, Donato Mottola telefona a sua moglie: «Stasera io tenevo una cena (ndr, con Lerario al ristorante Il Falco Pellegrino). Domani pomeriggio o giovedì mattina subito devo andare ad Acquaviva, bisogna andare a don Tommaso (ndr, fratello di Marco Antonio Lerario e cappellanto dell’ospedale Miulli), bisogna portare un pensiero … e non possiamo portare il Marzodd (ndr, non possiamo presentarci solo col vino). Bisogna portare Donna Aurelia con la cera lacca, e tutto il resto…».
PALAZZO DOGANA Borgo Mezzanone ed altri appalti per 4 milioni 860 mila euro, in favore della Edil Sella del foggiano Luca Leccese, ma ci sono anche quelli affidati prima ancora che vengano firmate le determine. Come la ristrutturazione della sede della Provincia di Foggia, Palazzo Dogana. Ne va orgoglioso l’imprenditore che il 26 ottobre scorso ne parla al telefono con suo figlio, subito dopo aver avuto la notizia: «Sta l’assalto a Fort Apache. Due cose buone sono che ho avuto due belle notizie: una è sempre un altro coso là, a quell’altro campo, a Torretta Antonacci, e poi molto probabilmente dovrò fare un’altra cosa bella che poi ti dirò … Mò è inutile, non mi far parlare che qua, con tutti i cosi…».
IL MARESCIALLORicorrente, fra Lerario e i frequentatori del suo ufficio, il riferimento all’attività di intercettazione, alle “cimici” piazzate nella stanza e al “maresciallo” che li ascolta. In alcuni casi, l’ex dirigente della Protezione civile usa i post-it (che immediatamente cestina) per comunicare con i suoi interlocutori.
Numerose sono, peraltro, le chiacchierate con Nico Lorusso, giornalista in servizio all’ufficio stampa della Regione e indagato per concorso in rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. Il 3 settembre scorso, nella stanza al secondo piano, sono intercettati (nonostante le periodiche bonifiche dalle microspie) Lerario, Lorusso e un medico con incarichi regionali: «A proposito, maresciallo, mi hanno detto che qua sopra ci sono ben quattro …», dice Lorusso. Gli fa eco Lerario: «Quattro microfoni, quattro telecamere», Lorusso conferma: «Quattro, ti assicuro io che sono quattro. Non so se sono ancora attive, perché il decreto risale a qualche mese fa… là deve fare manutenzione periodica … le avranno lasciate qua … Potete venire a riprendervele grazie!».
Il 18 novembre, stessa stanza, Lorusso ironizza con Lerario: «La voce che circola è quella che lo devono arrestare, non hanno archiviato ancora un c…, per altre storie tipo Dpi farlocchi le inchieste sono state chiuse in gran parte … questa no».
Il 16 dicembre commentano anche l’arresto (ai domiciliari) dell’ex dg degli Ospedali Riuniti di Foggia, Vitangelo Dattoli. Lerario chiede a Lorusso come vede l’ordinanza. La risposta è che «non c’è niente, il senso è mettere in difficoltà Emiliano». E poi aggiunge: «È lo schema che si voleva utilizzare per te, con la guardia di finanza e tutto il resto».
Confidenza per confidenza, poi Lerario dice di «aver utilizzato una procedura che non esiste», di aver «chiamato tre fornitori che riassumono il 70 per cento del mercato» e che ha detto loro che in due giorni dovevano consegnare 150 stand, con modi e prezzi stabiliti da lui. Che se avesse dovuto fare tutta la Regione con un solo fornitore la cosa non si poteva fare, di aver fatto tre affidamenti diretti dividendo le scuole ad ogni soggetto. Per poi concludere: «Se stava un maresciallo a sentire sto fatto, sarebbe impazzito». Ribatte Lorusso: «L’avrebbero arrestato».