C’è un punto preciso nella foresta di Sandormoch, in Carelia, dove il terreno si apre su una radura e la memoria del Novecento russo torna a farsi viva. È lì che, trent’anni fa, Irina Anatol’evna Flige contribuì a scoprire una delle più grandi fosse comuni delle repressioni staliniane. Da allora, la studiosa e attivista russa — tra le figure centrali di «Memoriàl», l’associazione insignita del Nobel per la Pace nel 2022 — dedica la sua vita alla ricerca della verità storica e alla difesa dei diritti umani in un Paese che, dice, «ha smesso di fare i conti con il proprio passato».
L’Università di Bari Aldo Moro le ha conferito la laurea honoris causa in Lingue e letterature moderne, riconoscendole «il contributo pluridecennale nella tutela della memoria storica e della dignità delle vittime». Nel pomeriggio, alle 19.30, sarà poi ospite del festival «Pagine di Russia» negli spazi di Prinz Zaum.
Flige, nel suo libro «Il caso Sandormoch» lei racconta la scoperta di una radura in Carelia dove furono sepolte migliaia di vittime delle purghe staliniane. Ma ancora oggi quel luogo è conteso: c’è chi nega le responsabilità di Stalin. Che cosa resta della consapevolezza di quella tragedia?
«Per diversi anni ho preso parte alle ricerche dei luoghi di sepoltura di massa dei detenuti del campo delle Solovki, del campo del Canale Mar Baltico-Mar Bianco e degli abitanti della Carelia che sono stati fucilati negli anni 1937-38, durante le operazioni di repressione di massa note come “Grande Terrore”. Le ricerche sono state molto difficili: in esse sono confluite ricerche di archivio, storia orale e studio del territorio. A questa ricerca hanno preso parte non solo studiosi, tra i quali non posso non ricordare Venjamin Iofe e Jurij Dmitriev, ma anche i figli dei detenuti delle Solovki, i quali hanno accompagnato le ricerche alla propria esigenza di trovare il luogo di sepoltura dei propri padri e delle proprie madri. Nel mio libro queste persone hanno un posto speciale, poiché è grazie alla spinta della loro memoria che questa ricerca è continuata nonostante tutte le difficoltà. La loro memoria ha rappresentato un atto di resistenza contro i crimini e il segreto di Stato che ha accompagnato il Terrore in quanto tale».
La memoria storica in Russia è diventata sempre più politicizzata. Che forme assume oggi questa battaglia sul passato e quale ruolo ha lo Stato russo nel riscrivere il passato e controllare la memoria collettiva?
«Nella Russia di oggi non esiste la memoria storica e, di fatto, non esiste la storia. Al suo posto c’è la politica storica e una serie di miti arcaici, la cui essenza, in poche parole, è racchiusa nell’affermazione che “lo Stato è tutto, l’individuo non vale niente”, e che lo Stato si riserva il diritto di uccidere. Oggi la battaglia sul passato assume la forma della lotta per il presente. La falsificazione della storia ha fatto sì che il passato sovietico abbia recuperato la sua attualità e gli attivisti di oggi si mostrino solidali sia con le vittime del passato che con i prigionieri politici del presente».
Ricordare le vittime delle repressioni sovietiche può essere considerato un atto civico importante. Qual è per lei il valore civile del fare memoria in una società come quella russa?
«Nel corso degli ultimi trentacinque anni la memoria del terrore sovietico e del Gulag nella società russa non è stata sempre uguale, ma ha percorso un difficile cammino. Dai tempi della perestrojka, quando c’era un bisogno diffuso di tutti i cittadini russi di elaborare il passato, si è passati a una situazione in cui, negli anni Novanta e Duemila, il tema è diventato marginale. In tempi più recenti lo Stato ha normalizzato il terrore, che è diventato un attributo del potere. La società ha sempre resistito all’imposizione della memoria dall’alto: lo ha fatto ai tempi della perestrojka e lo fa anche oggi, anche se in forme diverse».
C’è un’immagine o un momento, tra tutti questi anni di lavoro, che non dimenticherà mai?
«Ogni ricerca portata a termine, ogni biografia ricostruita: questi sono per me piccoli passi fondamentali verso la ricostruzione della memoria storica».










