Michele Emiliano e Antonio Decaro seduti uno accanto all’altro al «Palamartino» di Bari, intenti a ridere e a parlarsi all’orecchio come ai tempi d’oro. L’immagine, potente e simbolica, sembra suggellare la pace, dopo lo strappo della mancata ricandidatura del governatore. Il riavvicinamento, almeno in apparenza, arriva dopo settimane di gelo. Emiliano ha vissuto il veto imposto da Decaro alla sua terza candidatura come un tradimento consumato dentro casa: il figlio politico che si rivolta contro il padre. Silenzi, punzecchiature, accuse velate. Una frattura così profonda da far pensare a un rapporto ormai irrecuperabile. Poi, ieri, a sorpresa, la scena inattesa.
All’evento del deputato Pd, Ubaldo Pagano, Decaro entra per un saluto fugace e si siede di lato sul palco. Emiliano si alza dalla platea e lo raggiunge.
Un gesto plateale, studiato o istintivo? Di certo lo stile ed il carattere di Emiliano hanno scientemente evitato di assumere una atteggiamento ingrugnito controproducente. Le opinioni, tra i presenti, si dividono. Il pubblico sorride, i telefonini scattano decine di fotografie, ma lo stupore non cancella la domanda di fondo: quella sedia condivisa è davvero un segnale politico, o solo una pausa tattica?
Il lungo scambio di battute tra i due – risate, sguardi compiacenti, il tono amichevole ritrovato – sembrerebbe raccontare un rapporto ricucito. Ma basta allargare lo sguardo per capire che la frattura resta intatta. Le tensioni delle ultime settimane non svaniscono con un sorriso.
Decaro ha bloccato le nomine dei direttori generali delle Asl, impedendo a Emiliano di lasciare in eredità una macchina amministrativa già apparecchiata. Emiliano, dal canto suo, ha risposto con un’accelerazione senza precedenti: dirigenti di sezione confermati in blocco, postazioni strategiche blindate in sanità, trasporti, sviluppo economico. E ancora un’ondata di decreti finali – revisori, organismi di valutazione, enti vari – che molti nel centrosinistra hanno definito «nomine elettorali».
In questo clima, difficile credere che basti una foto a rimettere insieme i cocci. Più di una fonte parla apertamente di tregua armata: un patto minimo, dettato dall’urgenza di mostrare unità negli ultimi giorni della campagna elettorale. Una scelta obbligata, più che un ritrovato affetto politico. La foto, insomma, racconta solo metà della storia. L’altra metà è scritta nelle diffidenze che restano, nei dossier aperti, nelle mosse sottotraccia di chi non ha dimenticato lo sgarbo subito. Emiliano e Decaro ieri hanno condiviso un palco: ma nessuno può giurare che condividano davvero lo stesso futuro.










