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Bari Cronaca

Molfetta, caso Minervini: i lavori per il porto commerciale e il tentativo di depistaggio

Sette ore di interrogatorio davanti al gip non sono bastate, a Tommaso Minervini, per chiarire di aver agito nell’esclusivo interesse di Molfetta. Ma che cosa contesta esattamente la Procura di Trani al sindaco e alle altre persone coinvolte nell’inchiesta? Una premessa: il fascicolo di cui si parla altro non è che una costola dell’indagine partita dal sequestro del cantiere dell’area mercatale di Molfetta, avvenuto a luglio 2022. Solo in un secondo momento, sotto la lente d’ingrandimento di inquirenti e investigatori sono finite la procedura per la realizzazione del nuovo porto commerciale e quella per la gestione dello sportello di orientamento al lavoro “Porta Futuro”.

Il porto

Per i lavori al porto, del valore di circa 12 milioni, il Comune di Molfetta aveva ricevuto, a suo tempo, un finanziamento di 5,5 milioni dal Ministero delle Infrastrutture. Per coprire i restanti 6,5 l’amministrazione Minervini aveva deciso di ricorrere al project financing e di scegliere l’azienda, che avrebbe realizzato e poi gestito l’hub, attraverso una procedura a evidenza pubblica di partenariato pubblico-privato. La relativa determina firmata dal dirigente Alessandro Binetti è datata 12 aprile 2022.

Tutto normale se, come sostenuto dalla Procura di Trani, l’imprenditore Vito Leonardo Totorizzo non avesse già saputo di essere il beneficiario dell’operazione, tanto da trovare un co-finaziatore nell’armatore sorrentino Gianluigi Aponte. Quest’ultimo, patron della Msc, si sarebbe addirittura detto disponibile a coprire l’intera spesa di 6,5 milioni per il porto in cambio della concessione per 50 anni. Nello stesso tempo, sempre secondo i pm, Totorizzo sarebbe stato uno dei principali sostenitori di Minervini al punto tale da far candidare il figlio Giuseppe, alle comunali del 2022, nella coalizione a sostegno del sindaco.

Non solo: sempre a ridosso delle comunali di tre anni fa, Minervini si sarebbe attivato per per far sì che una persona gradita all’imprenditore venisse nominata in un organo dell’Autorità portuale di Bari.

Il depistaggio

Dalle carte dell’inchiesta, infine, emerge anche il presunto depistaggio che alcuni indagati avrebbero tentato di mettere in atto dopo aver appreso di essere nel mirino dei pm. L’ex finanziere Pizzo avrebbe rivelato a De Leonardis la presenza di microspie negli uffici comunali. A quel punto, secondo l’accusa, la dirigente, d’intesa col sindaco Minervini, avrebbe fatto bonificare la stanza per eliminare le “cimici”. E lo avrebbe fatto, tra l’altro, usando soldi pubblici.

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