È crisi nera. A Terlizzi si leva sempre più in alto il grido d’allarme e la richiesta di aiuto delle locali aziende agricole e floricole, sempre più “strozzate” dagli aumenti vertiginosi dei costi di produzione.
Il prezzo del gasolio – passato da 70 centesimi a oltre 1 euro al litro – ha aumentato del 30% il costo delle operazioni nei campi e nelle serre. I rincari dell’energia elettrica si abbattono come un macigno su interventi ordinari e necessari come le irrigazioni di soccorso per le colture che necessitano di essere preservate da una prolungata siccità e sulle serre, che molti operatori potrebbero fermare a causa dei costi esorbitanti del riscaldamento. Più cari anche i concimi. Il solfato di ammonio, un concime “universale” utilizzato in agricoltura per la quasi totalità delle colture, è passato da 19 a 50 euro al quintale. Aumenti dal 30 al 50% anche per i trattamenti fitosanitari. Il diserbo delle colture, operazione che protegge la crescita sana delle stesse, può costare dal 20 al 40% in più.
La crisi comincia dai campi e continua nei magazzini dove si fa imbottigliamento e nelle aziende e cooperative di prima lavorazione e trasformazione dei prodotti. Chi ha necessità di mantenere temperature costanti nelle strutture, arriva a spendere il 50% in più di energia elettrica.
I florovivaisti terlizzesi rischiano di finire sul lastrico. «Per alimentare le celle di conservazione e le lampade per l’infiorescenza devono spendere cifre esorbitanti tra gasolio ed energia elettrica -sottolinea Giuseppe De Noia, responsabile Sviluppo organizzativo della Cia – Agricoltori italiani della provincia Bari e Bat. Un intero comparto ha atteso il 14 febbraio per vendere i propri fiori, ma in queste condizioni sono tante le aziende che nei giorni scorsi hanno deciso di rinunciare alla produzione. La realtà dei fatti è che l’agricoltura soprattutto, vale a dire il primo e fondamentale anello della filiera produttiva del Paese – prosegue De Noia – sta vivendo un’emergenza di dimensioni epocali, perché sul comparto primario e sulla zootecnia la crisi dei rincari si sta innestando su problematiche già in essere, come quella dei prezzi riconosciuti ai produttori. «Nessuno parla, ad esempio, del fatto che il prezzo base dell’olio extravergine d’oliva riconosciuto ai produttori è nuovamente in calo. Per non parlare di altri prodotti. Oggi, le arance pugliesi all’ingrosso vengono pagate circa 40 euro al quintale. Un pieno di benzina può costare fino a tre volte di più».
A peggiorare un quadro già a tinte fosche, c’è anche la carenza di manodopera che, assieme all’aumento spropositato dei costi di produzione, spesso costringe i produttori a rinunciare al raccolto, lasciato morire sugli alberi. «La politica non faccia finta di non vedere, rischiamo il collasso» – conclude Giuseppe De Noia.