Sempre più famiglie in Italia sono costrette a vivere in una condizione di povertà energetica: l’impossibilità nei fatti di accedere ai beni energetici fondamentali come quelli necessari per il riscaldamento delle proprie abitazioni. Un fenomeno che negli ultimi anni è cresciuto su tutto il territorio nazionale dove, secondo le stime dell’Istat, nel 2021 erano ben 2,2 milioni le famiglie in povertà energetica, pari all’8,5% del totale. Un numero che è tornato ad aumentare, dopo la riduzione registrata nel 2020, soprattutto per via dell’impennata dei prezzi finali dell’energia (gas ed elettricità).
E la situazione non migliora se si analizza nel dettaglio la crescita della povertà energetica e la sua incidenza nelle diverse Regioni italiane. Secondo uno studio condotto dall’Oipe (l’osservatorio italiano sulla povertà energetica), nel 2021 le percentuali del fenomeno oscillano da un minimo del 4,6% nelle Marche e un massimo del 16,7% in Calabria. Ma la maglia nera, in prospettiva, spetta proprio alla Puglia che è la Regione ad aver registrato l’aumento maggiore dei poveri energetici rispetto al 2020 pari a +5,5 punti percentuali, con un dato che si attesta sul 16,4% di cittadini in difficoltà sul totale degli abitanti dell’intera regione. Seguono a stretto giro il Molise (+4,3% rispetto al 2020) e l’Abruzzo (+2,1%). In controtendenza vanno invece le Isole, che registrano il maggior decremento anche in seguito a un inverno che è stato particolarmente mite e non ha reso necessario l’uso massiccio dei riscaldamenti. La Sicilia scende di 3,5 punti percentuali, mentre la Sardegna di 1,8.
Anche lo Spi Cgil, il sindacato dei pensionati, in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio, ha promosso e condotto un’indagine sulla povertà energetica sul territorio, cercando di tracciare un quadro approfondito delle sue caratteristiche socio economiche. Secondo i risultati raccolti, il problema peggiora ulteriormente nelle aree periferiche e ultra periferiche delle diverse Regioni. Vi è poi una forte differenza tra le persone coniugate o conviventi e quelle che vivono da sole: i poveri energetici sono in maggioranza vedovi e il 61,4% è donna. Anche il titolo di studio è un indicatore che rivela molto: tra i poveri e i vulnerabili è particolarmente diffusa la sola licenza elementare e il 10% di loro non ha conseguito alcun titolo. Tra chi vive in condizioni non di disagio, invece, si concentrano diplomati e laureati.
La povertà energetica, inoltre, è associata spesso ad altre condizioni di disagio socio economiche come l’assenza di una casa di proprietà, il vivere in abitazioni monofamiliari e bifamiliari ai piani inferiori degli edifici, o in alloggi di dimensioni molto ridotte. L’80,7% e il 77,7% rispettivamente dei poveri e dei vulnerabili energetici abita in una edificio costruito prima del 1970, a differenza dei nuclei familiari più benestanti (42%), ma anche dei poveri (41,3%) e dei vulnerabili esclusivamente economici (44,3%). Se le spese di efficientamento degli edifici sono state affrontate da circa il 65% delle persone prese in considerazione nel campione dello studio dello Spi Cgil, questa percentuale scende drasticamente tra i poveri (25%) e tra i vulnerabili energetici (35%). L’indagine rivela poi che questi ultimi si riscaldano prevalentemente con il camino tradizionale a legna, che le tipologie di riscaldamento legate alle energie rinnovabili sono praticamente assenti e che più di 10 nuclei familiari su 100 (tra i poveri e i vulnerabili energetici) dichiara di non usufruire affatto di un impianto di riscaldamento. L’incidenza percentuale di intervistati che dichiara buone condizioni di salute è particolarmente alta tra chi non ha disagi, all’opposto cattive condizioni sono preponderanti tra poveri e vulnerabili.
Bari, con il progetto Riubsal risposte concrete alla gestione delle risorse idriche
Di Redazione13 Dicembre 2024