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Lavoro, 49 tavoli di crisi aperti in Puglia. Leo Caroli: «Finora nessun licenziamento collettivo»

Ficons, Ntt Data, Atos, Amazon, Ovs. Oggi più che mai sembra davvero lontana la riflessione-condanna di Franco Tatò (“Perché la Puglia non è la Silicon Valley): tutti vogliono investire in Puglia e la lista si allunga sempre di più. Da una parte ci sono investimenti per centinaia di milioni di euro. Dall’altra però restano aperti 49 tavoli di crisi. Tante sono le pratiche sulla scrivania di Leo Caroli, l’ex assessore della giunta Vendola che Michele Emiliano ha voluto a capo della task force regionale sulle crisi occupazionali.

Ogni giorno incontra imprenditori preoccupati e dipendenti disperati. Ma Caroli oggi è ottimista, o quanto meno non vede più nero, perché il governo ha autorizzato i ricorso al patto di transizione occupazionale, una nuova deroga al quadro normativo in materia di ammortizzatori sociali, che consente di ricorrere ad un ulteriore periodo di cassa integrazione se c’è l’iniziativa della Regione.
«E noi davvero ci occupiamo di politiche attive del lavoro, nella loro accezione più completa, cioè non soltanto con la presa in carica delle competenze presso il centro dell’impiego, ma studiando percorsi di riqualificazione occupazionali o di autoimpiego, come per esempio la costituzione di cooperative.
I lavoratori che diventano imprenditori. In quanti casi ci siete riusciti?
«Per ora solo uno, a Martina Franca, dove i lavoratori di un’azienda tessile hanno rilevato un reparto dell’azienda. Purtroppo c’è ancora un pregiudizio. Serve un salto culturale per convincere la gente a passare da dipendente a imprenditore».
Che bilancio farebbe del vostro operato?
«Guardi, quando parliamo di 49 tavoli di crisi, tutti si portano le mani ai capelli. Ma siamo l’unica regione ad avere una unità di crisi permanente. Non eludiamo nessuna richiesta di intervento. Cerchiamo sempre di evitare o rimandare i licenziamenti e nel frattempo lavorare per creare le condizioni di una cessione o reindustrializzazione dell’impresa in difficoltà».
E ci riuscite?
«Ad oggi nessuno dei 49 casi si è chiuso con il licenziamento collettivo, dunque possiamo sicuramente dire che la gestione della crisi è l’antidoto alla desertificazione industriale».
Che tempistiche avete?
«Ecco, il problema sono proprio i tempi. Perché la gestione ha bisogno di tempo, di individuare misure passive e politiche attive per ricollocare le persone. Per fortuna abbiamo interlocutori credibili, mi riferisco a Confindustria e ai sindacati, contro cui a volte ingenerosamente tutti sparano a zero. Ma io non trovo le soluzioni da solo. Se al tavolo ci sono partner attendibili e credibili le soluzioni arrivano. Questo è un valore aggiunto. Così come lo sono per esempio strutture come Puglia Sviluppo».
Che problemi vede?
«La crescita a macchia di leopardo: siamo sempre Mezzogiorno d’Italia ma siamo primi per tasso di occupazione nel Mezzogiorno. Il 2021 si è chiuso con un tasso di disoccupazione al 14,6%, rispetto ad un dato nazionale del 9,1. Ma Bari ce l’ha al 10%, Foggia è al 17%. Bari è molto attrattiva per la infrastrutturazione, per la presenza del distretto dell’automotive. È normale che tutti vogliano venire nel capoluogo regionale. E allora forse bisognerebbe ripensare le misure di incentivazione allo sviluppo, che oggi sono lineari, uguali per tutti e in tutte le province. Bisognerebbe diversificarle introducendo incentivi di intensità maggiore in alcuni territori. E prevedendo integrazioni per finanziare anche la formazione (accanto al sostegno) perché l’investitore spesso non trova il personale formato come lo vuole lui. Infine sarebbe giusto introdurre una intensità di aiuto maggiore se per esempio un’azienda deve farsi carico di un fardello di 130 dipendenti tutti ultracinquantenni».

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