Il 20 aprile si celebra la Giornata mondiale della cannabis, una ricorrenza che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore visibilità, anche grazie all’uso terapeutico della sostanza e al dibattito internazionale sulla sua legalizzazione. Ma dietro la percezione diffusa di una sostanza «naturale» e «sicura», si nasconde una realtà ben più complessa, soprattutto per quanto riguarda i rischi legati a un uso abituale e prolungato, in particolare tra i più giovani. A mettere in guardia dai facili entusiasmi è il portale “Dottore, ma è vero che…?”, promosso dalla Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, che fa chiarezza sui principali falsi miti legati alla cannabis.
La dipendenza
«Si sente spesso dire che la cannabis non crei dipendenza – spiegano gli esperti – ma questa affermazione è fuorviante. Anche se il rischio è minore rispetto a quello legato a sostanze come l’alcol, il tabacco o le droghe pesanti, l’uso abituale può condurre allo sviluppo di una vera e propria dipendenza, soprattutto se si comincia da giovani». Secondo le evidenze scientifiche più accreditate, circa 1 consumatore su 10 sviluppa una forma di «disturbo da uso di cannabis». Si tratta di una condizione che si manifesta attraverso una crescente necessità di assunzione, difficoltà a smettere nonostante gli effetti negativi sulla salute o sulla vita quotidiana, e sintomi di astinenza come irritabilità, disturbi del sonno e ansia. «È importante saper distinguere tra uso occasionale e uso problematico – sottolineano i medici – perché anche se non tutti diventano dipendenti, i segnali di allarme non vanno sottovalutati».
I giovani sono più vulnerabili
A rendere ancora più delicata la questione è l’età di inizio del consumo. Il cervello degli adolescenti è ancora in fase di sviluppo e l’assunzione di cannabis in questa fase può compromettere funzioni cognitive fondamentali come memoria, attenzione e apprendimento. Diversi studi hanno anche evidenziato un possibile legame tra un uso regolare in età giovanile e un maggiore rischio di sviluppare disturbi psichiatrici, tra cui ansia, depressione e psicosi, specialmente in individui predisposti. Inoltre, chi inizia a usare cannabis in adolescenza e lo fa con frequenza ha una probabilità significativamente maggiore di incorrere in una dipendenza. «Il problema – chiariscono gli esperti – non è solo quanto se ne consuma, ma come e perché. Quando la sostanza diventa un mezzo per affrontare la noia, l’ansia o per socializzare, può trasformarsi in una trappola invisibile».
L’uso medico della cannabis
Discorso diverso riguarda invece l’uso medico della cannabis, che in Italia può essere prescritto per trattare specifici sintomi legati a patologie come la sclerosi multipla, il dolore cronico o la nausea da chemioterapia. In questi casi, la sostanza viene somministrata sotto stretto controllo medico, con dosaggi precisi e durata limitata. «Anche se in questo contesto il rischio di dipendenza è teoricamente più basso – spiegano i camici bianchi anti-bufale – non è inesistente. Per questo motivo, è fondamentale che anche l’uso terapeutico segua protocolli ben definiti e venga sempre monitorato da professionisti».
Quando preoccuparsi?
Secondo la Fnomceo, ci sono alcuni segnali d’allarme che non andrebbero ignorati. Tra questi: l’uso sempre più frequente della sostanza, il pensiero costante rivolto al consumo, la difficoltà a svolgere attività quotidiane senza fare uso di cannabis e i tentativi falliti di smettere. «In questi casi – raccomandano gli esperti – è fondamentale parlarne con un medico di fiducia o rivolgersi a un centro specializzato per le dipendenze. Non c’è nulla di cui vergognarsi: cercare aiuto è il primo passo per riprendere il controllo sulla propria vita». Il rischio non è solo nella cannabis in sé, ma nella sua percezione: più viene considerata innocua, più si abbassa la soglia d’attenzione rispetto agli effetti che può provocare.