Da magistrato, Federico Cafiero De Raho si aggrappa alle prove, al dato di fatto «In aula nessuno ha messo in discussione la validità del 41bis», ma s’intuisce che teme che ci sia la volontà di usare il 41bis come paravento per altro.
Onorevole che idea si è fatto del dibattito su Cospito?
«A me pare che si sia montata tutta questa polemica per un problema marginale, è come se dopo la cattura di Matteo Messina Denaro la lotta alle mafie sia meno necessaria, e invece occorre adesso maggiore impegno perché la cattura del boss ha dimostrato, ancora una volta, che i mafiosi hanno bisogno di coperture per la loro latitanza e i loro affari».
Quindi la detenzione al carcere duro di Cospito è solo una scusa?
«A mio avviso è un modo per distrarre l’opinione pubblica mentre si portano avanti altri provvedimenti devastanti per la lotta alla criminalità organizzata».
E quali sarebbero?
«Vogliamo parlare dell’accesso ai benefici penitenziari dei mafiosi, che potranno uscire dal carcere non solo senza un vero pentimento, ma senza il necessario ravvedimento che è alla base per cui lo Stato conceda i benefici di legge. Sa cosa succederà? Sarà un liberi tutti e noi stiamo facendo polemiche per Cospito».
Che però alcuni affermano che tra i circa 700 detenuti al 41bis è l’unico che non è a capo di un’organizzazione criminale?
«Scherziamo! Cospito è al 41bis perché in regime di detenzione normale rischiava di continuare ad alimentare disordini e attacchi allo Stato, quindi a minare le fondamenta democratiche della Repubblica. Il 41bis nasce proprio per interrompere la catena dei messaggi e dei controlli degli affari criminali Il 41bis non è una sanzione aggiuntiva dello Stato di diritto e si applica solo a coloro che hanno ruoli apicali e di comando. Mi spiego. In Campania abbiamo “censiti” più di 100 clan, non è che il 41bis si applica a tutti gli affiliati, altrimenti avremmo le carceri non piene ma stracolme di detenuti».
Però la sua battaglia è su altro? Nei suoi interventi ha cercato di spiegare che c’è un rischio altissimo nella lotta alle mafie?
«Certo che devo evidenziare le storture del dibattito che si concentra sul caso Cospito e dimentica, ad esempio, altri provvedimenti importanti nel contrasto alle organizzazioni criminali. Posso fare un esempio?…»
…Prego
«Nei giorni del dibattito su Cospito, delle informative del ministro della Giustizia, delle polemiche sui documenti letti in aula da Donzelli, la Camera ha dato il via libera alla legge sull’istituzione della Commissione parlamentare antimafia. Ora si attende la decisione del Senato. Un passo importante, ma che è passato sottotraccia, come se qualcuno volesse lasciarlo nascosto, visto che abbiamo dovuto attendere più di cento giorni per la sua costituzione, come se la lotta alla mafia e alla corruzione non fossero cose importanti, mentre adesso è tempo di avere grande responsabilità».
Ritorna sul tema delle coperture e del silenziatore a certi provvedimenti adottati contro la criminalità?
«Mi pare ovvio che c’è qualcuno che non vuole che si faccia troppo casino su alcuni provvedimenti e intenzioni d’interventi nella lotta alla criminalità. Sul tema della corruzione, ad esempio, si è proposto di abolire l’uso del trojan nelle indagini sulla corruzione. Qualcuno dimentica che la corruzione sovverte il funzionamento legale e trasparente della pubblica amministrazione. Chi corrompe altera la concorrenza e devasta i principi economici di uno Stato e c’è qualcuno che non vuole combatterla togliendo o riducendo gli strumenti d’indagine che, come ha detto lo stesso procuratore nazionale antimafia, sono indispensabili per le indagini. A me pare che a parole siamo tutti per la lotta alla criminalità, poi invece c’è qualcuno che legifera, o tenta di farlo, in modo diverso»
Ecco perché ha registrato con soddisfazione le parole di sostengo al 41bis negli interventi in aula, ma non si sente tranquillo sul fronte della lotta alle organizzazioni criminali?
«Non voglio essere parossistico, ma credo che qualcuno voglia far passare un messaggio inquietante: “essere mafiosi conviene”, perché lo Stato non ti chiederà più un ravvedimento, ma la semplice interruzione dei rapporti con le organizzazioni criminali. Qualche tempo fa, a Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia, il giudice ha negato i benefici penitenziari, con la concessione degli arresti domiciliari, perché non aveva completato il necessario ravvedimento verso la mafia. In futuro c’è il rischio che non ci sia bisogno di questo passaggio e per i mafiosi sarà conveniente collaborare senza “compromettersi” troppo con il loro passato e i loro interessi criminali».