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Xylella, il ruolo dell’uomo nella diffusione del contagio: dal 2013 a oggi si è propagata per 54mila ettari

L'uso che l'uomo fa del paesaggio ha contribuito in maniera significativa al diffondersi dell'epidemia da Xylella nelle campagne pugliesi. Il sistema stradale ha rappresentato il principale motore di dispersione mentre le aree naturali ne hanno ostacolato la propagazione. È quanto afferma il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea) che ha…

L’uso che l’uomo fa del paesaggio ha contribuito in maniera significativa al diffondersi dell’epidemia da Xylella nelle campagne pugliesi. Il sistema stradale ha rappresentato il principale motore di dispersione mentre le aree naturali ne hanno ostacolato la propagazione.

È quanto afferma il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) che ha diffuso uno studio in cui vengono calcolati, per la prima volta, gli effetti della pressione antropica sulla trasmissione e diffusione della malattia.

La Xylella dal 2013 si è propagata in 54 mila ettari di uliveti, provocando la morte di milioni di alberi. I ricercatori hanno analizzato i modelli spazio-temporali dell’epidemia dal 2015 al 2021, mettendoli in relazione con le diverse classi di uso del suolo utilizzate come indicatori dell’intensità delle attività umane.

La Xylella fastidiosa, che sta avanzando rapidamente verso l’Italia centrale, si presenta localmente più raggruppata ma più dispersa sul territorio, ostacolandone il contenimento.

Si è osservato anche che la probabilità di infezione in un sito dipende in gran parte dalla tipologia di uso del suolo che ne caratterizza il contesto circostante: la struttura del paesaggio (campagna aperta o città), la distribuzione degli alberi ospiti e maggiori dettagli sui flussi di auto, camion o treni rappresentano elementi chiave per la previsione della diffusione.

Le ricadute dello studio sono importanti perché la tempestiva previsione di propagazione del patogeno permette di salvaguardare le colture e affrontare la malattia in modo più efficace, concentrando il monitoraggio e le misure di contrasto nelle zone individuate. In tal modo, si riduce la necessità di interventi a tappeto su territori vasti, limitando l’abbattimento indiscriminato di piante, la perdita di biodiversità vegetale e l’uso dei pesticidi. Il modello messo a punto dai ricercatori è trasferibile ad altri casi studio, anche per progettare strategie di sorveglianza nelle aree a rischio ancora prive di malattie. Ad esempio, sulle principali strade dove il trasporto è più elevato e per formulare ipotesi sullo scenario di diffusione dell’infezione attraverso movimenti legati agli spostamenti antropici, come la circolazione di macchinari e l’elevato livello di attività umane che comporta il turismo.

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