Due capi di partito si giocano tutto al tavolo della roulette Quirinale. Enrico Letta, segretario del Pd, e Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle, sanno che dalla partita per il Colle dipende il loro futuro. Una Caporetto, come potrebbe essere l’elezione di Silvio Berlusconi, ma anche una parziale sconfitta quale sarebbe la scelta di un capo dello Stato non condiviso, avrebbero come conseguenza l’assalto alla loro leadership da parte degli avversari interni. Per questo i due si affannano a chiedere «di andare oltre gli steccati e gli stendardi e di convergere verso un candidato che non sia un capo di partito» come ha detto proprio il leader dei Dem, intitolando il circolo Pd al quartiere Trionfale di Roma alla memoria del presidente del Parlamento europeo David Sassoli.
Nonostante l’impegno proprio di Letta in una moral suasion soprattutto nei confronti di Giorgia Meloni per interdire la candidatura dell’ex cavaliere, a oggi i risultati non sono incoraggianti e nel partito nessuno dei capi corrente lo aiuta. Non lo fa Dario Franceschini, silente sul tema, con l’ambizione di essere tra i candidati. E non lo fa Andrea Orlando. Men che meno pensano di sostenerlo gli ex renziani di base riformista. Anche perché il loro ex leader è impegnato in una personale battaglia per far pesare nella corsa alla presidenza della Repubblica i suoi 50 voti. Per Letta la soluzione migliore è quella di eleggere Mario Draghi, ma su questo punto sta ricevendo solo spallucce dagli interlocutori. Così come sulla rielezione di Sergio Mattarella, giustificato dall’emergenza Covid, e prezioso per evitare di ritrovarsi un presidente di centrodestra.
Problemi molto simili a quelli che arrovellano la mente di Conte. Dopo una turbolente assemblea con i parlamentari pentastellati, l’ex premier ha capito che quel gruppo non è proprio governabile e i mal di pancia sono avvertiti almeno da una settantina di grandi elettori. Conte deve fare i conti anche con il silenzio di Luigi Di Maio che sul tema si tiene alla larga da settimane. Anche se, giura chi gli ha parlato, presto farà sentire la sua opinione, mentre per adesso è impegnato a tessere una rete con deputati e senatori che fanno riferimento a lui per poi provare a essere il “kingmaker”.