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Matteo Salvini come Renzi

Matteo Salvini insiste ogni giorno. La responsabilità dell’operazione Colle è tutta all’interno di villa Grande. «Su Silvio Berlusconi nessuno può mettere veti», ripete da settimane, per poi far dire al capogruppo alla camera, Riccardo Molinari: «il compito del centrodestra è trovare un candidato che possa prendere voti anche fuori dal nostro perimetro politico», con l’interrogativo,…

Matteo Salvini insiste ogni giorno. La responsabilità dell’operazione Colle è tutta all’interno di villa Grande. «Su Silvio Berlusconi nessuno può mettere veti», ripete da settimane, per poi far dire al capogruppo alla camera, Riccardo Molinari: «il compito del centrodestra è trovare un candidato che possa prendere voti anche fuori dal nostro perimetro politico», con l’interrogativo, «Berlusconi è in grado di prendere quei voti?».

Non è cerchiobottismo, come si potrebbe dedurre, ma messaggi precisi che il leader della Lega affonda per dire che vuole essere lui il king maker dell’elezione del tredicesimo presidente della Repubblica. Salvini ambisce al ruolo che fu di Matteo Renzi nel 2015, quando, impose con una maggioranza più larga del centrosinistra il nome di Sergio Mattarella. A chi pensi il capo della lega da proporre ad alleati e partner di governo non si sa. Indizi portano comunque verso il centro nord sui nomi dell’ex presidente del senato, il lucchese Marcello Pera, o dell’attuale assessore alla sanità della Lombardia, Letizia Brichetto, vedova Moratti.
Anche Giorgia Meloni, attraverso i suoi si dice pronta a sostenere il capo di forza Italia, ma poi è frequentemente al telefono con il segretario del partito democratico, Enrico Letta. La leader dell’unico partito all’opposizione sa che non ha armi, e quindi è aspetta di poter scegliere la soluzione migliore per fratelli d’Italia; per quanto se fosse per lei spedirebbe senza indugio dai corazzieri il presidente del consiglio, Mario Draghi. Sono questi i motivi, più che il rinvio della direzione dem a causa della camera ardente e dei funerali di David Sassoli, per cui non è stato ancora convocato il vertice con i leader del centrodestra nella dimora sull’Appia antica.
Fintanto che i conti che la war room di Berlusconi fa e disfa non diano risultati più che certi sul consenso all’ex cavaliere il dado non viene tratto e quindi inutile vedersi. Anche perché lo scouting che gli emissari stanno facendo tra i parlamentari sciolti da appartenenze in particolare nel magma informe che raccoglie quanti sono usciti dal movimento 5stelle e vagano a Montecitorio e a Palazzo madama, sperando che qualcuno li raccolga, promettendo loro una ricandidatura, è parallelo a quello della caccia ai franchi tiratori che, da Maurizio Lupi a Giovanni Toti, potrebbero impedire che il sogno dell’incoronazione quirinalizia per Berlusconi si trasformi in un desiderio inevaso.

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