Stasera il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella terrà il suo ultimo discorso di fine anno. Sarà l’ennesima occasione per ribadire come l’ipotesi di una sua rielezione non è propriamente in linea con il dettato costituzionale. In tutta la settimana che dal Natale conduce alla fine dell’anno, il capo dello Stato ha limato e pesato parole e concetti di un discorso che si annuncia fondamentale per la nazione, ma anche per le forze politiche che sono alle prese da più di un mese su quello che è lo snodo fondamentale della vita pubblica italiana: eleggere il successore dell’attuale inquilino del Quirinale.
Il presidente della Repubblica avrà di sicuro parole forti per ribadire come l’unità del Paese sia prioritaria rispetto agli interessi politici, soprattutto in questa ulteriore fase di recrudescenza della pandemia. Terrà il punto sui vaccini come arma fondamentale di contrasto al virus e inviterà quanti ancora hanno dubbi a immunizzarsi. L’attesa, però, è sulle parole sul suo successore. Chi conosce le cose del Quirinale in questi sette anni rileva che, come ha sempre fatto, Mattarella eviterà qualsiasi ingerenza. Lascerà la massima autonomia alle forze politiche e soprattutto al Parlamento in seduta comune. Certo, come si è distinto in tutte le occasioni importanti, Mattarella esprimerà il suo pensiero, evitando di contaminare il dibattito in corso.
Nel frattempo, i leader nell’attesa del discorso di fine anno insistono in una guerra di posizione che ha sempre più i giorni contati. Alle contrattazioni soft del centrosinistra, e in particolare del “campo largo” che prova a trovare denominatori comuni, si oppone un centrodestra che insiste sul nome di Silvio Berlusconi. Una candidatura che ogni giorno perde però smalto, perché i leader dei partiti che compongono la coalizione continuano a non fare quel passo chiarificatore verso un nome che diventa sempre più divisivo.
Ormai, come appare sempre più evidente, il destino dell’ex cavaliere è a un bivio: imporre il referendum sul suo nome con il rischio di uno schianto fragoroso per tentare di strappare il 505esimo voto, così come fece undici anni fa, nel dicembre 2010, per rimanere in sella a un governo che aveva comunque i giorni contati, oppure fare il beau geste del suo ritiro, spianando la strada a Mario Draghi.