«Il 93,4 per cento delle classi è in presenza», mentre quelle che studiano totalmente a distanza rappresentano il 6,6 per cento. A quasi due settimane dall’avvio della scuola dopo la sosta natalizia il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi torna a fare un bilancio, anche per confutare possibili altre «stime infondate». Il riferimento è ai numeri forniti dall’Associazione nazionale presidi, secondo i quali al momento ci sarebbe il 50 per cento delle aule in didattica a distanza. Bianchi fa chiarezza durante l’audizione in commissione Cultura alla Camera. I dati snocciolati parlano di un sistema che, nonostante contagi e quarantene, sta reggendo. Quasi tutte le classi non stanno facendo ricorso alla dad, nel 13,1 per cento dei casi la si utilizza come attività integrata dedicata a singoli studenti. Il fronte contrario alle riaperture, che aveva portato il governatore della Campania Vincenzo De Luca a sfidare il governo con un’ordinanza contraria al decreto, per il momento è quindi sconfitto.
«Su un totale di sette milioni 362.181 studenti, gli alunni in presenza sono l’88,4 per cento – spiega Bianchi – Per l’infanzia gli alunni positivi o in quarantena sono il nove per cento. Per la primaria il 10,9 per cento e per la secondaria il numero di ragazzi in dad o in didattica integrata rappresenta il 12,5 per cento». Quanto al personale sospeso per non essere in regola con il vaccino, «si tratta dello 0,9 per cento. Ciò dimostra l’alto grado di responsabilità dei nostri docenti».
Naturalmente l’emergenza non è ancora dietro le spalle perché in questo momento i contagi riguardano proprio i più giovani, che in molti casi non sono ancora vaccinati. Se infatti frenano i ricoveri degli adulti, quelli dei bambini crescono del 27,5 per cento. È quanto emerge dall’ultimo report degli ospedali sentinella della Federazione italiana aziende sanitari e ospedaliere. Nei quattro ospedali pediatrici e nei reparti di pediatria degli ospedali sentinella il numero dei bimbi è passato in una sola settimana da 120 a 153, dieci sono in terapia intensiva. Tra i piccoli degenti il 34 per cento ha meno di sei mesi. Complessivamente quasi due su tre (il 61 per cento) ha meno di quattro anni e quindi non può essere immunizzato.