Oggi è il terzo wind day di fila a Taranto. Sono i giorni in cui il vento soffia da Nord, Nord-Ovest sulla città trascinando con sé pericolose polveri provenienti dalla zona industriale. In tanti, l’altro giorno, hanno fotografato l’ennesima nube rossastra che piombava sulla città. Cittadini e attivisti del mondo ambientale sono insorti chiedendo ancora una volta la chiusura dello stabilimento siderurgico ex Ilva.
Chi ha cercato i dati dell’inquinamento dell’aria online è rimasto senza risposte: il caso ha voluto che da circa due settimane ci sia un malfunzionamento nel collegamento tra i server e il sito web che per legge dovrebbe offrire in tempo reale le misurazioni sulla qualità dell’aria. I dati sono invece fermi al 27 gennaio. «I dati ci sono, non sono oscurati» ci tengono a precisare dagli uffici Arpa per evitare facili congetture. «Stiamo chiedendo ai tecnici di rendere ugualmente disponibili in qualche modo i dati che comunque stiamo raccogliendo».
I dati, tuttavia, è questo è uno degli aspetti inquietanti, non sono neanche in grado di trasmettere una reale fotografia delle giornate come quella di lunedì. «Le centraline rilevano il pm10, cioè le particelle di diametro di dieci micron. Quelle più grandi non vengono rilevate – confermano i tecnici di Arpa – quindi anche in occasione di giornate come quella del 7 febbraio è difficile leggere l’impatto sui dati delle centraline perché il materiale grossolano non arriva neanche nella centralina». «È una vergogna che evidenzia sia quanto siano insufficienti e inutili le coperture dei parchi minerali, sia quanto criminali siano quegli impianti che, evidentemente, vanno chiusi immediatamente», attacca su Facebook Alessandro Marescotti del movimento ambientalista Peacelink.
Di sicuro le immagini dell’altro giorno, scattate da diversi quartieri della città, che immortalavano ancora una volta le nubi rossastre sulla città e che hanno fatto il giro dei social in poche ore, offrono plasticamente l’immagine di una situazione ancora poco sotto controllo, nonostante sia ormai coperta la maggior parte dei giganteschi parchi dove vengono stoccate polveri e materie prime nell’acciaieria. Insomma il grado di diffusione di polveri e materiali all’interno della fabbrica non si è risolto con i grandi capannoni, propagandati all’epoca come la panacea di tutti i mali e le scene a cui purtroppo in molti si sono abituati, continuano a ripetersi.