Massimo Moretti è stato il responsabile del gruppo di ricerca che ha realizzato il foglio «Taranto» per la «Carta geologica d’Italia», insieme alle «Note illustrative» che lo accompagnano, che includono anche informazioni su depositi antropici e discariche, autorizzate e no.
Cosa c’è in queste carte?
«Queste carte normalmente danno pochissima importanza ai depositi recenti, soprattutto quelli fatti dall’uomo, e ce ne sono molti a Taranto, a partire da quelli di tipo ingegneristico. Noi ci siamo soffermati soprattutto su depositi che sono vere e proprie discariche. E queste, a Taranto, sono sia di tipo autorizzato, ma anche di tipo non autorizzato. Quelle autorizzate hanno sia dei parametri di progetto iniziale, sia una serie di azioni di monitoraggio che dovrebbero preservare i luoghi dall’inquinamento. Ne abbiamo messo in evidenza i volumi, le localizzazione e la qualità, cioè che tipo di rifiuti sono presenti».
Come sono stati accolti dai soggetti committenti questi aspetti del vostro studio?
«Devo dire che il ministero, Ispra e Asset hanno accolto molto bene questi aspetti e ci hanno incoraggiato a completare questa parte. Il servizio è stato così soddisfatto dei risultati che ci hanno già affidato anche il foglio Bari. Svolgere questa parte della ricerca è risultato particolarmente complesso perché, è inutile dirlo, si trattava di mettere in evidenza qualcosa che è completamente fuori legge. Inoltre siamo certissimi di non essere riusciti a mettere in evidenza tutte le criticità ambientali di Taranto. Io conosco almeno un altro paio di esempi nei quali non siamo riusciti né a delimitare i corpi, né ad avere la qualità degli inquinanti che erano stati immessi e ce ne saranno tantissimi altri».
Emerge dalla carta che sulla spiaggia di San Vito, per esempio, in località Marechiaro, ci sono accumuli direttamente sulla spiaggia.
«Esiste lì, una falesia che è il risultato dell’accumulo di rifiuti di chissà quanti anni. Noi stimiamo che sia nell’ordine dei 15 anni. Per 15 anni lì sono stati scaricati materiali direttamente in mare. Oggi questo materiale è soggetto all’azione delle onde e le onde hanno formato una spiaggia in tempi velocissimi, circa 10 anni. Questa spiaggia, osservandola in dettaglio, è composta di frammenti di cemento amiato. Siamo in grado di vedere come questi frammenti si arrotondano e disperdono fibre. L’accesso alla falesia, a seguito dei rilevamenti, è stato chiuso dal Comune, ma d’estate i tarantini ci vanno lo stesso, nonostante tutti gli avvisi. Sarebbe utile ancora una volta informare i tarantini di non andare nei posti in cui è vietato l’accesso perché c’è un’area inquinata».
Le collinette ecologiche che separano il quartiere Tamburi dalla statale 7 e dallo stabilimento nella carta vengono incluse tra le discariche non autorizzate.
«Sì, io non so in che periodo sono state fatte quelle collinette di proprietà dell’ex-Ilva, però “non autorizzata” significa che, se anche il Comune ha dato il permesso per farle, il materiale che hanno utilizzato non era sicuramente quello previsto, perché sono fatte di rifiuti delle lavorazioni dell’acciaio. Nessuno li ha mai autorizzati ad utilizzare quel materiale».
Siete stati in grado di fare dei rilevamenti diretti nell’area ex-Ilva?
«Non direttamente nell’area ex-Ilva, perché non abbiamo ottenuto nessun tipo di permesso. Ma in maniera indiretta, attraverso foto aeree e lo studio della documentazione che è stata consegnata nei vari progetti di Ilva, siamo riusciti a mettere in evidenza spessori e aree coperte dalle discariche. Abbiamo evidenziato ogni discarica, quanto è lontana dal livello della falda e dal livello del mare. D’altra parte, entrare direttamente nello stabilimento avrebbe significato solo restare molto lontani dalla geologia, perché ci saremmo trovati nelle aree di riempimento. Tutta l’area Ilva è un’area di riempimento».
Si è parlato la scorsa estate di un ridimensionamento considerevole dell’area ex-Ilva, con ampie parti di territorio che dovrebbero ritornare alla comunità o ceduti a privati. Sarà necessario fare una caratterizzazione geologica e ambientale prima di quel passaggio?
«È ovvio che si tratta di un’azione da effettuare, anche e soprattutto perché si sono avvicendate in questi decenni una serie di dirigenze Ilva, modi di produrre, modi di stoccare materiali, per i quali ogni nuova dirigenza non aveva contezza di ciò che è avvenuto prima. Potremmo dire che in questo momento Acciaierie d’Italia difficilmente ha documentazione certa di ciò che è avvenuto, ad esempio, negli anni ‘70. Quindi sarebbe impossibile in maniera documentale conoscere lo stato dei luoghi in maniera affidabile proprio per mancanza di informazioni. Quindi sì, una caratterizzazione dei siti che dovessero essere ceduti a privati o alla comunità dovrà essere fatta per legge. Speriamo che lo strumento che abbiamo messo in mano ai decisori possa essere di qualche aiuto».