Durante una delle sue gare in rossoblù apparve uno striscione, sintesi perfetta del modo di giocare con cui conquistò gli appassionati di calcio: «Maiellaro il poeta». I suoi versi sul prato verde dello “Iacovone” incantarono i tifosi del Taranto che nel biennio 1985-87 ebbero la fortuna di vedere transitare alle loro latitudini uno dei pochi capaci di dare del tu al pallone.
Molti lo muovono e lo giocano, magari anche molto bene, ma ad accarezzarlo e a coccolarlo sono sempre stati in pochi. Il passaggio in riva allo Ionio è stato lungo 63 partite con 11 reti, tante azioni intrise di qualità e un’evidente sintonia con Totò De Vitis, con cui formava una coppia temibilissima. Dai piedi d’oro del compagno, il centravanti trasse una miniera di passaggi vincenti. Senza dubbio, con il numero 10 sulle spalle, va considerato uno dei migliori della storia del Taranto.
Maiellaro, il Taranto è rinato grazie ai fratelli Ladisa che lei conosce bene, non è vero?
«Sì, ci siamo conosciuti a Bari e poi quando hanno avuto l’esperienza con il Monopoli, che era in Eccellenza, il rapporto divenne ancora più cordiale e stretto. Nello stesso periodo allenavo il Lucera e quindi ci scontrammo in campionato. A loro va il mio in bocca al lupo per il lavoro che li aspetta, perché Taranto deve tornare tra i professionisti. I tifosi possono stare tranquilli, perché sono dei grandi imprenditori e perciò sono in mani sicure. Mi auguro ci sia anche la componente fortuna e quella va conquistata».
Giovedì scorso il Taranto ha esordito in Eccellenza: come andrebbe affrontato questo campionato?
«Senza pensare al blasone. Bisognerà disputare ogni partita come se fosse quella decisiva. Non sarà una passeggiata, perché saranno tutti campi con derby infuocati. Tutti cercheranno la migliore prestazione e vorranno fare risultato contro il Taranto».
In più il Taranto non potrà contare neppure sullo “Iacovone”: qualche squadra potrebbe approfittarne?
«Un peccato, ma penso che Massafra possa diventare un fortino. Eppure anche in casa non sarà semplice».
Sono trascorsi 38 anni dal suo addio al Taranto, cosa significò per lei il biennio rossoblù?
«Ho ricordi indelebili, qualcosa di indescrivibile e straordinario. Taranto è stata la città che mi ha fatto capire che potessi diventare un ottimo calciatore e un professionista a tutti gli effetti e che avrei potuto misurarmi con realtà di livello più alto».
Il 21 giugno 1987 il Taranto sconfisse 3-0 il Genoa e lei segnò anche un gol: ci racconterebbe qualche aneddoto sulla gara?
«Fu una partita pazzesca e che contribuì alla nostra salvezza tramite gli spareggi. Ricordo quasi tutto di quella gara. Pensa che nel secondo tempo mi si ruppe una scarpa e il mio compagno Bruno Russo mi presto le sue. Io indossavo il 40 e lui il 42. Prima della gara, sotto il nostro albergo stazionarono migliaia tifosi venuti a Lecce per sostenerci. La società ci chiese di affacciarci per salutarli e lo feci assieme a Totò De Vitis con cui dormivo in stanza. Se non ci fossimo mostrati avrebbero buttato giù l’hotel».
Ha ancora modo di sentire Totò De Vitis?
«Il rapporto non è più lo stesso di prima, comunque ogni tanto ci sentiamo. Anche solo per scambiarci qualche idea su qualche giocatore o per segnalare qualche talento che meriterebbe di giocare».
Le piace il calcio di oggi?
«Poco».
Perché?
«Se un portiere gioca con i piedi più di un calciatore di movimento, allora non andiamo tanto bene. Ogni settimana assistiamo a diversi errori dei portieri. Mi piacerebbe che si tornasse a giocare per strada e negli oratori per trovare i talenti che sono spariti. In realtà ci sono eccome, soltanto che non hanno più la stessa voglia di prima, distratti dai telefonini, dai computer e dalla playstation».
Ai tifosi del Taranto cosa vorrebbe dire?
«Vi ricordo con tanto affetto e aggiungo: aiutate questa società che vi farà togliere molte soddisfazioni e forza Taranto».