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Cultura e Spettacoli Taranto

La vincitrice di X Factor 2023 in concerto a Taranto, Sarafine: «La musica mi ha salvato» – L’INTERVISTA

Le date di Milano, Torino, Bologna e Roma hanno registrato il tutto esaurito, ma ciò che non accenna ad esaurirsi è la voglia di Sarafine, vincitrice di X Factor 2023, di condividere la sua musica e la sua energia con il pubblico.

Nonostante un’agenda già fittissima in giro per le maggiori città italiane, sono da poco stati annunciati due nuovi appuntamenti del «Questo è il nostro show», l’11 marzo 2026 ai Magazzini Generali di Milano e il 12 marzo 2026 all’Hacienda di Roma.

Sarafine, alias Sara Sorrenti, ha stregato il pubblico con un mix di dubstep, techno e pop, e con una presenza scenica che sprigiona carisma puro. Le sue produzioni elettroniche, forti e dure, si fondono con testi intimi e introspettivi, creando quel contrasto potente e ipnotico che definisce la sua identità artistica. Il sound nord europeo pervade il suo primo EP, «Un trauma è per sempre», uscito nel 2024: una scrittura lucida e tagliente accompagna il ritmo martellante della base.

L’ultimo singolo, «Lu rusciu de lu mare», prodotto da Sony Music France, vibra di sperimentalismo. In collaborazione con Ciauru, un antico canto popolare in dialetto salentino incontra il synth, la tradizione sposa forme espressive fresche e contemporanee. Ma la magia di un’artista come Sarafine non si può spiegare, si può solo vivere e ballare. E, a tal proposito, ieri è salita sul palco del Mercato Nuovo di Taranto, per l’ultima tappa del suo «Club Tour 2025», organizzato da Kashmir Music Concerti.

Sarafine, si aspettava il grande successo di «Questo è il nostro show»?

«No, è stata una sorpresa. Non avevo mai fatto un tour di questo genere e non sapevo cosa aspettarmi. Aver avuto una risposta così calorosa mi ha resa molto felice».

I suoi concerti vengono descritti come «esperienze immersive e multisensoriali». Come costruisce questa dimensione visiva e sensoriale?

«Sono concerti molto partecipati perché racconto storie di vita vissuta e credo che le persone si sentano coinvolte anche per questo motivo. I brani del disco sono stati scritti con l’intento di portarli su un palco live, quindi l’aspetto musicale è improntato sull’intrattenimento».

La sua musica unisce elettronica dura e testi intimi: un contrasto potente che ormai è la sua firma. Da dove nasce questa tensione tra forza e delicatezza?

«Credo derivi dalla mia personalità. Mi sento un po’ un ossimoro vivente: il mio dark side e la mia luce viaggiano a braccetto».

Nelle sue esibizioni cita spesso i «malati di gioia». Chi sono?

«Sono tutti coloro che hanno da sempre visto la felicità come un morbo dal quale tenersi a distanza, quindi persone che faticano ad accettare che si possa essere felici nella vita e che quindi si costringono a un’esistenza rassegnata».

C’è una cura?

«Sono convinta di sì. Per me lo è stata riconoscere la mia essenza, capire che stavo conducendo una vita che non mi rappresentava. A quel punto mi sono sentita legittimata a dire “basta”».

Infatti quando lavorava in una multinazionale in Lussemburgo, si sentiva «giusta e utile ma infelice». Oggi è una musicista e una produttrice musicale. Come si sente adesso?

«Utile e felice di poter vivere di musica».

Lei canta «Un trauma è per sempre», ma «Traum» in tedesco significa «sogno». Cosa indica questa doppia lettura?

«Il mio trauma più grande è stato quello di vedermi negare il mio sogno, soltanto perché le mie aspirazioni artistiche non combaciavano con quello che mi veniva detto essere giusto nella vita. Quindi l’impossibilità di realizzare il mio sogno è diventata un evento traumatico».

«Lu rusciu de lu mare» la vede alle prese col dialetto salentino. Come si sta evolvendo il suo suono? Più elettronico, più contaminato o più personale?

«Direi più personale. Per adesso i brani che sto scrivendo non seguono un’impronta stilistica particolare se non la sonorità che mi richiede la canzone».

Fra i tanti illustri palchi che ha calcato, c’è quello di X Factor. Che ricordo ha di quella esperienza?

«Ho un bellissimo ricordo, mi sono molto divertita ed è stata una bella esperienza. Fedez è stato un ottimo giudice».

Il giudizio dei giudici che più la fece riflettere?

«Nessuno in particolare. Durante un monologo ha detto “ci hanno insegnato l’umiliazione dicendoci si trattasse di umiltà”. Questa è una citazione di Jago, che è uno scultore contemporaneo molto affascinante. Disse questa frase in un’intervista e mi resi conto di aver sempre confuso il concetto di umiltà con quello di umiliazione. Quel suo intervento fu illuminante e mi fece capire che potevo avere delle aspirazioni più alte».

Come si disimpara l’umiliazione?

«L’umiliazione non si disimpara ma si comprende e non la si ascolta più».

Ma quanto è difficile, nella società di oggi, vivere un sogno senza doverlo tradurre in risultati, dischi, numeri, sold out?

«È difficile quando anche emotivamente si subiscono determinate logiche imposte. È un dato di fatto che siamo portati a fare valutazioni anche in base ai numeri ma questo non deve essere determinante per le nostre scelte. Io faccio questo lavoro per essere soddisfatta di me stessa, finché i numeri mi consentiranno di vivere di questo».

Ha spesso parlato di ansia, iper–responsabilità, del bisogno di «stare bene» a tutti i costi. Pensa che la musica oggi possa ancora essere uno spazio di guarigione collettiva?

«Credo di sì, se ci si stacca dalle logiche di mercato. Sono convinta che la musica possa diventare un’esperienza collettiva salvifica».

Quali sono i suoi progetti futuri?

«Sono concentrato del Club Tour dei prossimi mesi. E ovviamente tanta nuova musica».

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