La Corte d’appello di Lecce, (giudici Ettore Luigi Nesti, Giovanni Surdo e Adele Ferraro), ha accolto l’appello degli avvocati Gaetano Vitale e Luigi Esposito e revocato la confisca dei beni di Emanuele Catapano, imprenditore del settore ittico. La confisca, decisa dalla prima sezione penale del tribunale di Lecce in primo grado, era stata decisa all’esito di un maxi sequestro operato dalla direzione investigativa antimafia nel 2019.
Sotto chiave erano finite ville, conti correnti e le aziende del settore ittico intestate a Catapano, 53 anni, e suoi familiari. L’uomo ha subìto una condanna in via definitiva nel 2002 per associazione mafiosa, estorsione e armi col processo “Due mari”. Il valore della confisca è di circa due milioni di euro. Secondo i magistrati di primo grado, Catapano in passato ha accumulato ricchezze in maniera illecita, provento di estorsioni nel settore ittico e poi ha reinvestito quelle risorse in aziende dello stesso settore, mezzi e proprietà intestandole a suoi familiari e prestanome. Sotto chiave sono così finite due ville, una a Castellaneta e una a Lido Azzurro, un’abitazione a Martina Franca, otto magazzini, un terreno, cinque auto, tre moto, conti correnti e soprattutto le quote di ben sei società di pesca, commercio all’ingrosso di frutti di mare e mitili e di altri prodotti alimentari. Una tesi ribaltata nel giro di pochi giorni dalla Corte d’appello che ha restituito tutti i beni alla famiglia Catapano.
Gli avvocati hanno contestato tutti i motivi alla base della confisca: pericolosità sociale, sproporzione tra reddito e tenore di vita e riutilizzo di denaro di provenienza illecita. Catapano ha avuto una condanna per fatti risalenti alla prima metà degli anni Novanta e la sua pericolosità sociale è stata già esclusa dal tribunale di Taranto, scrivono gli avvocati Vitale e Esposito. Quanto al clan mafioso, aggiungono che non esiste più e che il vincolo non dura tutta la vita. Negli ultimi 25 anni, aggiungono, Catapano ha lavorato senza essere neanche sfiorato da nuove indagini per quel genere di reati. Contestazioni condivise dai giudici di secondo grado, secondo i quali Catapano per 25 anni si è dedicato a intensa e redditizia attività lavorativa.
Insomma il suo impero non è stato costruito coi soldi delle estorsioni imposte per la guardiania alle imprese del settore ittico, ormai 25 anni fa. Nelle sentenze, precisano i magistrati, è stato accertato che quei proventi venivano divisi in 15 quote e all’epoca Catapano aveva vent’anni e nessun ruolo nel contesto associativo. Quel denaro, al più, scrivono gli avvocati, è servito al sostentamento familiare nel lungo periodo di detenzione. C’era stato, inoltre, un precedente sequestro che aveva riguardato i familiari di Catapano, anch’esso annullato.
Quanto poi alla sproporzione tra il valore dei beni confiscati e il reddito dichiarato, i giudici hanno accolto la tesi difensiva, secondo la quale parte delle fortune di Catapano deriva da reddito lecito ma non sottoposto a tassazione. In particolare l’imprenditore si sarebbe impegnato in un fiorente traffico di molluschi con l’oriente, capace di fruttare oltre due milioni e mezzo di euro. Insomma Catapano, scrivono gli stessi avvocati, ha evaso il fisco e sanato la sua posizione successivamente ma si tratta di un illecito amministrativo senza rilevanza penale.
Resta a suo carico un solo procedimento pendente, concludono i magistrati della Corte d’Appello. L’inchiesta per gravi reati ambientali nel processo per il traffico di oloturie, i così detti cetrioli di mare. La sua azienda è accusata di aver spedito ben 353 chili di oloturie verso Hong Kong. Insieme ad altri tredici imputati, Giuseppe Catapano nel 2020 è stato mandato a processo, su richiesta del sostituto procuratore Mariano Buccoliero, con accuse mosse a vario titolo di associazione per delinquere, disastro ambientale permanente, inquinamento ambientale, gestione di rifiuti non autorizzata e per aver alterato l’ecosistema del litorale ionico, con incursioni anche sulle coste di Bari, Brindisi e Lecce.