Il ricco zio d’America arriva in città, accolto con tappeto rosso, promette investimenti milionari con soci non meglio identificati, di portare in serie A la squadra locale con le finanze dissestate, la classifica messa anche peggio e un piede nella serie D e poi scompare nel nulla. No, non è la trama di un romanzo ma potrebbe esserlo. Quello che sta accadendo negli ultimi mesi a Taranto, col patron di un misterioso fondo che promette di acquistare la squadra del Taranto senza perfezionare l’operazione, ricorda tanto il romanzo d’esordio di Giuliano Pavone, L’eroe dei due mari (Marsilio 2010). Nel romanzo, proprio nella città dei Due Mari si consuma una favola paradossale e senza lieto fine: in ossequio a un voto, nel Taranto sceglie di giocare Luís Cristaldi, attaccante brasiliano tra i migliori calciatori al mondo e la città impazzisce, sognando la serie A per la prima volta nella sua storia.
Giuliano Pavone, sembra che la recente paradossale realtà si sia quasi ispirata al suo romanzo, come nacque la trama e la stesura de L’eroe dei due mari?
«Da una serie di riflessioni su Taranto che avevo voglia di condividere: la peculiarità della sua storia, la mentalità dei suoi cittadini, certi fermenti che cominciavano a emergere (da lì a pochi anni sarebbe esploso il “caso Ilva”). E poi dal mio interesse per i meccanismi dell’informazione, per i rapporti fra Nord e Sud e per il modo in cui vengono rappresentati. Ho pensato che il tema giusto per tenere insieme tutto questo potesse essere il calcio, che in Italia – e forse a Taranto in particolar modo – rispecchia la società, amplificandone vizi e virtù».
Il romanzo racconta molto l’humus tarantino, la superficialità di alcuni personaggi, la surreale cialtroneria di chi vive mostrando molto più di quello che ha, l’autentica miseria di chi vive solo di eccessivo entusiasmo calcistico, che a volte sfocia in stupida violenza. Ci sono anche analogie con i recenti fatti, la tifoseria e il giornalismo locale divisi tra chi diffida degli acquirenti e chi spera sia la volta buona e perfino politici e amministratori che in qualche modo si sono fatti garanti di un affare che pare alquanto incerto.
«Ci sono sicuramente delle analogie, tanto da far pensare che la realtà superi la fantasia, se è vero che la cronaca degli ultimi tempi sembra ancora più incredibile del mio racconto di quattordici anni fa, volutamente paradossale. C’è però anche una fondamentale differenza. Ne L’eroe dei due mari c’erano sì superficialità e cialtroneria, ma c’era anche una comunità che si univa attorno a un sogno, e che dall’ennesima delusione ricavava anche una salutare lezione: bisogna salvarsi da soli, rimboccandosi le maniche, remando tutti nella stessa direzione e dimostrando attaccamento alla città. Davanti al sedicente “Eroe dei due canali” (il canale della Manica e quello navigabile…), invece, siamo stati capaci di litigare, dividendoci fra chi si mostra scettico, e per questo è tacciato di disfattismo, e chi propende per l’ottimismo, definito nel migliore dei casi ingenuo e credulone. Senza renderci conto che le due posizioni rispecchiano semplicemente i due estremi fra cui tutti noi oscilliamo: ragione e sentimento».
Le figure salvifiche del reale Mark Campbell o del personaggio di fantasia Luís Cristaldi hanno un tratto in comune, legato forse a una sorta di maledizione che avvolge una delle più grandi città del Sud, Taranto. La squadra locale in oltre cento anni di storia non è mai riuscita ad affacciarsi alla serie A. Negli anni Settanta con Erasmo Iacovone, ucciso in un incidente stradale nel 1978 a 25 anni, sognava di andare oltre la serie cadetta. Dopo la sua morte una lunga serie di fallimenti societari, retrocessioni, risalite e ricadute, con poche gioie sportive. Secondo lei c’è davvero una maledizione e serve davvero un uomo del miracolo per questa squadra e per questa città?
«La maledizione sta proprio nel credere che serva un uomo del miracolo e non capire, invece, che l’unica strada è quella del lavoro duro e del fare squadra. L’eroe dei due mari era anche una metafora della parabola siderurgica della città: la grande fabbrica di Stato, accolta come una manna dal cielo, ha portato sì benessere, ma era un benessere ben poco sostenibile, che ha dato frutti avvelenati. I “doni” che arrivano da fuori, quasi sempre serbano brutte sorprese: dovremmo saperlo dai tempi dell’Iliade…».
Venendo alla città, ineluttabilmente legata anche alle cronache sportive, nel suo libro di ormai 14 anni fa lei già scriveva dei problemi di inquinamento, malapolitica, disoccupazione, dei meccanismi dell’informazione, del divario tra Nord e Sud, del calcio moderno. Sono temi ancora attuali? Cosa è cambiato in quasi tre lustri?
«Verrebbe da dire che non è cambiato nulla, perché i grandi problemi sono ancora tutti lì. Però di cose ne sono cambiate, eccome, e sarebbe da miopi e da irresponsabili non vederle. Al di là delle trattative sull’ennesima cessione dello stabilimento siderurgico, ormai quasi tutti hanno preso atto che per Taranto è finita l’era della monocultura industriale e in tanti, pur con fatica, stanno lavorando per dare alla città un futuro alternativo. Dai grandi eventi musicali al recupero della città vecchia, dalle startup tecnologiche alle nuove attività che aprono a Porta Napoli, sono tanti i piccoli o grandi segnali di riscatto che andrebbero incoraggiati e messi a sistema. Quanto al calcio, due anni fa lo scudetto è andato, dopo un tempo infinito, in una città diversa da Milano e Torino, per giunta una città del Sud e molto particolare: Napoli. Sembrava impossibile e invece è accaduto. Che sia di buon auspicio anche per la rinascita del Taranto calcio?».
A proposito di Napoli, alcuni dei temi trattati ne L’eroe dei due mari tornano nel suo ultimo romanzo, uscito da poco, Per diventare Eduardo (Laurana Editore).
«Sì. Nel mio nuovo romanzo ho immaginato un ragazzo del rione Tamburi di Taranto, figlio di un operaio, che nel 1982 va a Roma per intervistare il grande Eduardo De Filippo, traendo poi da quell’incontro ispirazione per affrontare le varie sfide che la vita gli riserva. Credo che Eduardo abbia molto da insegnarci ancora oggi, in termini di etica del lavoro, impegno civile, pietà, comprensione dei fenomeni sociali, amore per l’arte e capacità di sognare. Tutte cose che tornerebbero utili anche a Taranto».