«L’ex Ilva ha una settimana. Sarà bomba sociale». Appello disperato al governo

Da domani saranno rimossi i presìdi davanti alle portinerie dello stabilimento siderurgico di Taranto organizzati dai lavoratori dell’indotto ex Ilva, le cui aziende attendono pagamenti per 140 milioni di euro. Le aziende, però, non torneranno a prestare la propria opera in fabbrica. «Semplicemente perché mancano i fondi per pagare i collaboratori, ma l’azienda continua a non capire le condizioni in cui siamo», dicono.

Le aziende sono in difficoltà economico-finanzaria tanto da non poter garantire le proprie prestazioni dopo essere state costrette, stante la nota situazione, ad adottare la cassa integrazione per ben 2600 lavoratori. Non basta. All’ultima assemblea di Aigi, l’associazione che raduna decine e decine di fornitori di servizi e prestazioni per il siderurgico, è emerso chiaramente che molti imprenditori sono in difficoltà perfino a rispettare le scadenze di fine mese legate agli oneri fiscali e previdenziali.

E mentre sembra ormai che l’unica strada sia il commissariamento di Acciaierie d’Italia, la compagine pubblico-privata che gestisce in affitto gli impianti siderurgici rischia la dichiarazione di insolvenza con debiti di oltre 3,1 miliardi, le imprese locali sperano ancora in un muracolo: un accordo ai tempi di recupero tra governo e socio privato, la multinazionale ArcelorMittal. Se il governo dovesse avviare l’amministrazione straordinaria della società, nonostante i due decreti legge in discussione, non è affatto certo che le imprese locali recuperino i crediti maturati negli ultimi mesi. «L’ad Lucia Morselli ha dichiarato al tribunale di Milano, nell’udienza per il tentativo fallito di composizione negoziata della crisi, che la fabbrica ha risorse per arrivare alla metà di febbraio» dicono dall’Aigi.

«Fra una settimana lo stabilimento si spegnerà in maniera irreversibile. Ossia, nel mentre il medico è impegnato a trovare la cura il paziente è morto. Se collasso ci sarà – sottolinea Aigi – le responsabilità saranno riferibili solo ed esclusivamente al mancato accordo tra i due soci che continuano in un braccio di ferro che determinerà la morte dell’economia di terra ionica. E dello stabilimento di Taranto, quello strategico, quello da ambientalizzare. Ribadiamo e precisiamo, a gran voce, al contrario di quanto i soci di Acciaierie d’Italia dichiarano, che in entrambi i casi, amministrazione straordinaria o accordo bonario tra i soci, non ci sarà neanche la continuità produttiva annunciata. Non ci sarà rilancio produttivo ed occupazionale, se non sarà garantito il pagamento dei crediti dell’indotto».

L’associazione Aigi e anche Confindustria, in questi giorni, hanno presentato dei loro emendamenti ai decreti in discussione al Parlamento sull’ex Ilva nel tentativo di superare la crisi e salvare i crediti. «Ora il tempo degli annunci è superato. Servono i fatti. Occorre garantire futuro a questo territorio», il messaggio lanciato ancora una volta al governo.

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