Battaglia in aula all’udienza chiamata a stabilire se devono subìre un processo otto manager e dirigenti dell’ex Ilva accusati di aver causato la malattia e la morte del piccolo Lorenzo Zaratta, il bimbo tarantino morto nel 2014 a cinque anni per un tumore al cervello diagnosticato quando aveva solo tre mesi di vita.
Ieri il pubblico ministero Mariano Buccoliero per tre ore e mezza ha ripercorso le fasi delle indagini e le prove raccolte nel processo madre, “Ambiente svenduto” sul presunto disastro ambientale causato dall’Ilva e suoi proprietari e dirigenti. Il pm ha confermato la richiesta di rinvio a giudizio per otto imputati e chiesto la condanna a due anni e quattro mesi per l’unico che ha chiesto il giudizio abbreviato, Angelo Cavallo.
A rischiare il processo per omicidio colposo sono l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e altri sette dirigenti, quattro dei quali furono arrestati con lui a luglio del 2012 in occasione del sequestro degli impianti dell’area a caldo e sono stati condannati a pene pesanti in primo grado (tra 11 e 21 anni di reclusione) al processo «Ambiente svenduto». Si tratta di Marco Adelmi, Ivan Di Maggio, Salvatore D’Alò e Salvatore De Felice. Rischiano il processo anche Giancarlo Quaranta, Giovanni Valentino e Giuseppe Perrelli. Tutti sono dirigenti responsabili delle aree dello stabilimento siderurigco ritenute più inquinanti.
Il difensore di Cavallo, l’avvocato Francesco Centonze, basandosi su una consulenza del dottor Moretto e sulle domande indirizzate nella precedente udienza al consulente della procura, Carlo Barone, ha confutato in aula le tesi della procura, sostenendo che manca del tutto il nesso di causa tra la malattia che ha colpito il bambino e le attività degli imputati. La difesa ha messo in discussione la letteratura scientifica a sostegno della consulenza dell’accusa, da cui non emergerebbero riscontri alla correlazione tra l’inquinamento ambientale e la malattia che ha ucciso il piccolo. I difensori degli altri otto imputati hanno chiesto di acquisire i risultati della discussione dell’abbreviato per chiedere una sentenza di non luogo a procedere.
La decisione spetta al giudice Pompeo Carriere all’udienza del 12 luglio. I familiari di Lorenzo Zaratta, costituiti parti civili con gli avvocati Leonardo La Porta e Ladislao Massari, hanno chiesto danni per 25 milioni di euro. Secondo la procura di Taranto, il piccolo Lorenzo è stato ucciso dalle polveri dell’Ilva. La consulenza del medico Carlo Barone, ordinario di oncologia medica al Gemelli di Roma, conferma che le polveri e le sostanze velenose emesse dall’Ilva sono finite nell’organismo del bimbo quando ancora era nel pancione della mamma, che lavorava al quartiere Tamburi proprio accanto alla fabbrica, provocando il tumore che lo ha ucciso dopo quasi cinque anni di calvario e ben 25 interventi chirurgici. Per la difesa, al contrario, non c’è correlazione scientifica che provi il nesso di causa tra l’inquinamento e la malattia che ha ucciso il bimbo. Le indagini, sostengono i difensori, non hanno fornito prove certe che quelle sostanze microscopiche trovate nel cervello del piccolo Lorenzo siano finite lì per colpa del siderurgico, giacché non sono stati effettuati approfondimenti di natura genetica e esami istologici in grado di escludere con certezza scientifica altre cause.