Ci si prepara ad un nuovo autunno caldo per la vertenza dell’ex Ilva, la fabbrica di acciaio sotto sequestro dal 2012 e da allora condannata a perdite vertiginose e a una crisi senza fine. Si inasprisce il confronto tra governo e sindacati. Nei giorni scorsi, per la prima volta nella sua storia, il governo Meloni ha forzato la mano e deciso di elevare di quasi 500 unità, fino a 4450, il numero degli operai in cassa integrazione. «Il governo neanche ci parla. Sono giorni che chiediamo un confronto a Palazzo Chigi e la risposta è aumentare unilateralmente la cassa integrazione», dice Francesco Brigati della Fiom Cgil. I sindacati sono sul piede di guerra e si preparano a settimane di assemblee, mobilitazioni e scioperi. «Sappiamo davvero poco del bando di cessione. Da notizie di stampa sappiamo che ci sono due fondi, che nulla hanno a che vedere con l’acciaio nazionale, che è strategico per l’intero Paese. Bisogna ritirare quel bando e agevolare un intervento pubblico per garantire davvero ripartenza in sicurezza degli impianti e decarbonozzazione. Solo il pubblico può fare un’impresa del genere nel breve periodo».
La mini-Ilva
Secondo voci sempre più insistenti, l’offerta del fondo statunitense Bedrock, che ha messo sul tavolo in chip simbolico di un euro per l’intero gruppo industriale, il piano americano comporterebbe il taglio di ben 7mila unità lavorative, con una sorta di mini-Ilva da soli 3mila lavoratori, 2mila dei quali impegnati nello stabilimento di Taranto, circa un quarto degli attuali. Sul tema interviene anche l’Usb. Per Rizzo e Colautti, «la gara per la vendita dell’ex Ilva è ormai diventata una farsa alla quale bisogna mettere fine. Questa storia non può e non deve concludersi con l’ ennesimo e definitivo sacrificio dei lavoratori. La fabbrica fa nazionalizzata immediatamente». Legato ai numeri degli operai, resta anche il problema della manutenzione e della sicurezza degli impianti. Si ava avanti con un solo altoforno mentre gli esperti incaricati dalla procura hanno concluso i campionamenti sull’altoforno 1, sotto chiave da maggio dopo un maxi incendio per fortuna senza conseguenze per i lavoratori.