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Ex Ilva, è rottura tra sindacati e Governo: scatta sciopero di 24 ore in fabbrica

«Il governo pianifica di ridimensionare e chiudere la fabbrica per poi venderla ad acquirenti che non ci sono, ora si sciopera». È rottura totale tra sindacati metalmeccanici e governo sull’ex Ilva. Ieri i sindacati hanno chiesto ai rappresentanti dell’esecutivo, i ministri delle Imprese Adolfo Urso e del Lavoro Marina Calderone, col sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, di ritirare il piano che prevede un ulteriore aumento della cassa integrazione, dagli attuali 4450 a 5700 a dicembre e poi 6mila a gennaio.

I sindacati hanno chiesto di interloquire direttamente con la premier Giorgia Meloni. «Ci hanno detto di no e abbiamo subito dichiarato lo sciopero», racconta Michele De Palma, segretario di Fiom Cgil, spiegando che il piano del governo «ferma tutte le aree a freddo ed appare solo una prospettiva di chiusura per la successiva vendita».

La trattativa

A nulla è servito il tentativo di mediazione da parte dei rappresentanti del governo, che hanno provato a indorare la pillola proponendo corsi di formazione per gli ulteriori 1500 addetti in cassa. Dopo un lungo periodo di collaborazione e rapporti distesi, è la prima volta nell’era Meloni che i sindacati arrivano a uno scontro così marcato. Per il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, «la cosa singolare è che il governo ci ha informato che il piano industriale che noi abbiamo discusso nel mese di luglio e condiviso con commissari e governo, di fatto nel bando nuovo non c’è più. C’è un ridimensionamento totale. Non c’è nulla, non c’è neanche un disegno diverso rispetto a esaminare i potenziali acquirenti che di fatto oggi non ci sono».

Ancor più duro il leader della Uilm Rocco Palombella, secondo il quale dal primo marzo chiudono tutti gli stabilimenti. «I nostri dubbi dell’incontro precedente – dice – sono diventati certezze. Dai 6mila in cassa integrazione chiesti da loro, si passerà alla totalità della forza lavoro. La cassa termina a febbraio e su cosa accade dopo il governo non è stato in grado di dirci nulla. È un disastro. Si assumeranno la grande responsabilità di mettere sul lastrico 10mila lavoratori e 5mila dei terzi dopo anni di sofferenza», conclude il leader Uilm.

L’alternativa

La proposta di parte del fronte sindacale, Fiom e Usb in testa, torna ad essere la gestione pubblica della fabbrica con un ruolo diretto dello Stato, per rilanciare e garantire sicurezza agli impianti. Unione sindacale di base parla di «piano di dismissione dell’ex Ilva da parte di Palazzo Chigi».

«Un piano irricevibile perché fondato sulla riduzione della produzione, sulla fermata degli impianti e sulla gestione del declino attraverso la cassa integrazione. Il pacchetto di 93mila ore di formazione proposto è utile solo a coprire l’assenza di attività produttive, non a costruire un futuro industriale. Il management ha confermato che anche tutti gli impianti del Nord saranno fermi: scelta che smentisce definitivamente la narrativa della manutenzione temporanea e conferma che migliaia di persone non lavoreranno più», sostiene il sindacato.

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