I due decreti per l’ex Ilva diventano uno. Con un emendamento del governo, l’ultimo decreto approvato il 28 gennaio scorso dal Consiglio dei ministri sulle modifiche al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale confluisce nell’altro decreto per l’acciaieria del 23 gennaio e ora all’esame del Senato, che prevede nuove iniezioni di liquidità per 250 milioni destinati alla continuità produttiva. Il governo, anche per rispondere alla pioggia di critiche dopo che altri 250 milioni sono stati drenati dal miliardo sequestrato all’epoca ai vecchi proprietari, la famiglia Riva, destinato alle bonifiche ambientali dei territori danneggiati dall’inquinamento, dichiara di voler individuare “ulteriori risorse” per la bonifica attraverso nuovi emendamenti al Dl. Lo ha riferito ieri la sottosegretaria al ministero delle Imprese Fausta Bergamotto nella seduta della commissione Industria del Senato che sta esaminando il decreto legge. L’esponente del ministero si è detta «consapevole» delle preoccupazioni emerse anche dalle audizioni di associazioni ambientaliste e territoriali ed ha fornito «rassicurazioni» sul fatto che l’ulteriore prelievo di 250 milioni previsto dal decreto «non pregiudica gli impegni adottati per il 2025 con riferimento alle opere di bonifica ambientale già pianificate». Entro giovedì 13 possono essere presentati ulteriori emendamenti.
La cassa integrazione
Ed anche sul fronte lavorativo la situazione del siderurgico non è affatto rosea. Ieri il ministero del Lavoro ha convocato per il 18 febbraio Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, il ministero delle Imprese, i sindacati e le Regioni sedi degli stabilimenti per avviare l’esame congiunto sul rinnovo per un anno della cassa integrazione straordinaria che l’azienda ha chiesto lunedì scorso con decorrenza 1 marzo. I commissari di Acciaierie in amministrazione straordinaria, chiedono il rinnovo della cassa straordinaria per il 2025, pur ridotta rispetto all’anno precedente. Se a luglio 2024 al ministero del Lavoro fu trovato un accordo su un numero massimo di 4.050 cassintegrati nel gruppo, di cui 3.500 a Taranto, partendo da una richiesta di 5.200, stavolta il siderurgico chiede la cassa per 3.420 dipendenti. Rispetto a quella in corso, sono 630 in meno come tetto massimo. A Taranto gli interessati con la nuova procedura sono 2.955, negli altri siti 465. La sospensione, si dice nella lettera spedita il 3 febbraio dall’azienda ai ministeri, ai sindacati e alle Regioni, «avrà durata commisurata alla gestione dei commissari straordinari». Il rinnovo della cassa, infatti, si incrocia con la procedura di vendita in atto, per la quale entro il 14 febbraio sono attesi i rilanci delle offerte da parte dei tre gruppi che puntano all’intero compendio aziendale, senza frazionamenti. Sono gli indiani di Jindal International, gli azeri di Baku Steel e gli americani di Bedrock. La cassa straordinaria per un anno, con fondi dalla legge di Bilancio 2025, si rende necessaria perché i livelli produttivi attuali ed attesi non sono ancora sufficienti a garantire l’equilibrio e la sostenibilità finanziaria. Sotto ai cinque milioni di tonnellate di produzione di acciaio, attualmente la fabbrica ne realizza meno della metà, c’è squilibrio nel rapporto costi-ricavi dell’intero ciclo produttivo.
La situazione dell’indotto
Per l’associazione Confapi, le aziende dell’indotto continuano ad essere l’anello debole della catena produttiva. Sono in sofferenze e continuano lo stesso a garantire manutenzioni che rendono gli impianti sicuri e operativi. «Le imprese dell’indotto, nonostante un parziale sblocco di alcuni pagamenti, continuano a vivere una situazione estremamente complicata. Il rischio serio è il fallimento e la perdita di know-how che ha permesso, nel corso degli anni, di essere un punto di riferimento straordinario per la competitività del sistema industriale del Paese», spiega Fabio Greco, presidente di Confapi, all’indomani dell’audizione in commissione Industria e Agricoltura del Senato sul disegno di legge di conversione del decreto ex Ilva per assicurare la continuità produttiva ed occupazionale degli impianti. Per Confapi «la situazione è talmente grave da non consentire ulteriori dilazioni nel tempo. Quindi ben venga l’ulteriore stanziamento per garantire la continuità aziendale, anche se le risorse sono, per il momento, sottratte ad altre finalità». Secondo Greco «è però necessario non farsi distrarre dal progetto principe, ossia rendere lo stabilimento ecosostenibile, portando a termine le prescrizioni Aia e continuando a svolgere tutte le manutenzioni opportune che rendono gli impianti sicuri e operativi al fine dell’aumento di produzione». L’associazione ora chiede la stipula di un protocollo di garanzia che consenta alle imprese strategiche dell’indotto la continuità finanziaria e produttiva dopo la vendita dello stabilimento.