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Ex Ilva, associazioni sul piede di guerra: «Il piano industriale è un buff. Non c’è vera decarbonizzazione»

«Decarbonizzare non significa solo eliminare il carbone ma anche il carbonio, si tratta di un’operazione complessa e dispendiosa» a spiegarlo Roberto Giua, chimico ambientale già dirigente di Arpa Puglia presente all’incontro voluto da Alessandro Marescotti di Peacelink svoltosi ieri mattina nel salone parrocchiale di San Pasquale. Marescotti fa parte del comitato che unisce le associazioni…
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«Decarbonizzare non significa solo eliminare il carbone ma anche il carbonio, si tratta di un’operazione complessa e dispendiosa» a spiegarlo Roberto Giua, chimico ambientale già dirigente di Arpa Puglia presente all’incontro voluto da Alessandro Marescotti di Peacelink svoltosi ieri mattina nel salone parrocchiale di San Pasquale. Marescotti fa parte del comitato che unisce le associazioni che hanno deciso di presentare un ricorso al tribunale amministrativo regionale contro l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia).

I forni elettrici

Obiettivo: sviscerare le modalità per giungere alla completa decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto. «Parlare di decarbonizzaione, quasi uno slogan senza contenuti, significa dare per scontato il proseguimento della produzione senza tenere conto del parere della popolazione che appare piegata a ciò che gli viene proposto – dice Giua – i forni elettrici consumano tantissima energia ed è stato accertato che si tratta di un’operazione non conveniente».

In riferimento al documento approvato dal ministero dell’Ambiente afferma «si parla di piena decarbonizzazione che significa eliminazione delle emissioni di Co2 (anidride carbonica) nell’aria ma la vera decarbonizzazione si ottiene solo con l’idrogeno verde basato su energie alternative. Continuare a produrre con l’attuale configurazione produce un impatto sull’ambiente e sulla salute non trascurabile. L’attuale documento appare scarso di fondamenti e non prevede come e con quali risorse si procederà, con quali risvolti economici e impiantistici. Mancano i dati relativi alla Co2, quella più impattante sul cambiamento climatico, non si fa cenno a come ridurla e in quali tempi, dove e come saranno reimpiegati gli operai che lavorano nella vasta area a caldo che sarà chiusa (cockeria, agglomerazione, altoforni, una parte delle acciaierie, i parchi, le centrali alimentate con i gas delle cockerie). Per tutto questo non c’è un progetto».

Si potrebbe tratterebbe di una proposta bluff su cui l’esperto nutre qualche perplessità «potrebbe essere un bluff. Anche se vi fosse una strategia non si capisce confortata da cosa, manca di contenuti tecnici. O perché i tecnici verranno coinvolti in un secondo momento per confortare decisioni strategiche già prese, oppure si vuole rinviare per continuare a produrre così come si è fatto sino ad ora per motivi che non è dato sapere».

Il 15 settembre scadono i termini per l’acquisto della fabbrica ma forse bisognerà parlare di cessione «trattandosi di un impianto fortemente in perdita – spiega Giua – quindi non conveniente dal punto di vista economico le offerte potrebbero essere nulla o simboliche». I costi per una produzione a carbone prevedono due-tre miliardi di euro per la manutenzione degli altoforni, per la decarbonizzazione circa nove miliardi e per la bonifica circa quindici miliardi.

Per il comitato a prima vista converrebbe lasciare tutto così com’è ma di fatto non vengono contabilizzati i costi occulti, l’ambiente che degrada per effetto dell’inquinamento, le malattie e le morti.

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