«No al riarmo, sì alla bonifica e alla tutela del lavoratori». È in estrema sintesi l’appello che rivolge Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, ai dipendenti dell’ex Ilva e alle forze sindacali.
Un appello che arriva nel momento in cui si decide il destino dello stabilimento del capoluogo ionico «con un accordo dalle prospettive estremamente incerte per la tutela occupazionale», evidenzia Marescotti che parla di «un passo verso il buio in un momento grave per le sorti collettive».
Per il presidente di PeaceLink la vendita dello stabilimento «non fornisce buone prospettive per i lavoratori. Il loro futuro – spiega – è in grave pericolo mentre non esiste un piano B se dovesse fallire il piano di rilancio industriale, come è altamente probabile».
«Massima incertezza per i lavoratori»
Marescotti parla di «criticità evidenti in relazione alle difficoltà di mercato e alle risorse limitate messe in gioco con una gara di vendita che vede offerte ben al di sotto della soglia minima fissata dal governo a 1 miliardo e 800 milioni. Nonostante i rilanci delle offerte – aggiunge – siamo in presenza di un esito estremamente deludente per chi si attendeva una gara in cui i soggetti economici avrebbero sgomitato per accaparrarsi l’Ilva. Evidentemente – prosegue – quello che viene definito un asset strategico sulla carta è invece uno stabilimento che non è appetibile per i giganti della siderurgia. Lo stabilimento tarantino viene richiesto da Baku Steel che ha una capacità produttiva modesta, dieci volte inferiore rispetto a Ilva, in un momento di depressione del mercato siderurgico. In questo contesto i lavoratori non hanno grandi speranze. Anzi. L’incertezza è massima».
In questo scenario, continua il presidente di PeaceLink, «il governo vuole destinare ingenti risorse economiche al riarmo, con un aumento delle spese militari che sottrae fondi preziosi a settori vitali come la sanità, l’istruzione e la tutela del lavoro. Mentre si finanziano nuovi piani di riarmo, vengono lasciati nell’incertezza i lavoratori coinvolti in crisi industriali, ambientali e occupazionali. Non ci sono investimenti per piani di salvataggio dei lavoratori e delle loro famiglie».
«Raddoppiano le spese per le armi. Mettere al centro lavoro e ambiente»
Non è accettabile, dunque, «che la soluzione alla crisi occupazionale, che è economica ed ecologica, sia messa in secondo piano mentre è previsto il raddoppio delle spese per la produzione di armi e il coinvolgimento in una guerra permanente. È necessario un cambio di rotta che metta al centro il diritto al lavoro dignitoso e la salvaguardia dell’ambiente».
PeaceLink chiede «che le risorse oggi destinate al riarmo vengano riconvertite in un grande piano di salvataggio per i lavoratori finalizzato alla bonifica dei territori inquinati e alla tutela ambientale».
Di qui l’appello a «una mobilitazione ampia e determinata» per «opporsi all’aumento delle spese militari e chiedere che i fondi vengano destinati alla riconversione industriale», «sostenere un piano di lavoro per la bonifica e la tutela ambientale, garantendo una transizione giusta per i lavoratori», «difendere la pace e i diritti sociali opponendosi a una politica che alimenta il riarmo e la logica di guerra permanente».